Dopo il disastro di Jurassic World, un’enorme eruzione vulcanica sta estinguere la nuova generazione di dinosauri creati geneticamente su Isla Nublar. Gli Stati Uniti si interrogano sul salvare o meno questi animali da una fine annunciata e crudele, ma nel frattempo Benjamin Lockwood (il vecchio partner affaristico di John Hammond) ha ingaggiato – su consiglio del suo assistente, Eli Mills – Claire e Owen per raggiungere una missione di soccorso sull’isola, atta proprio a recuperare il maggior numero di specie possibile prima dell’ineluttabile evento…
A causa delle insistenze del mio migliore amico, ho di recente visionato il re-boot della trilogia giurassica (Jurassic World) che mi ero all’epoca (2015) perduto. Ricordo che la pellicola fu salutata come un valido modo di coniugare nostalgia tirannosaurica e nuove possibilità computeristico-tecnologiche in campo effetti speciali: a me, personalmente, è sembrata un moscissimo e a tratti stupidino re-make dell’originale, lontano anni luce dall’efficacia di uno Star Wars: Il Risveglio Della Forza.
Capirete, dunque, come le mie aspettative per questo sequel della nuova era dei dinosauri fossero molto basse: tuttavia Jurassic World – Il Regno Distrutto è riuscito a fare addirittura peggio di quanto potessi prevedere.
Anzitutto, il prologo. La gag dell’ebete sacrificabile che viene quasi mangiato dal t-rex e poi divorato dal mososauro quando sembra ormai in salvo è già di per sé atroce, ma il vero problema è la premessa. Questi credono, per motivazioni ignote e senza aver minimamente effettuato alcuna simulazione o fatto un minimo di ricerca preventiva, che il bestione acquatico responsabile addirittura dell’uccisione dell’indomitus rex sia morto, così come le altre bestie dell’isola, quindi – pur provando una certa soggezione – non credono affatto di poter potenzialmente morire. Da qui, poi, la storia prende una piega inaspettata e francamente non del tutto comprensibile: perché mi fai vedere che il mososauro scappa dal parco e mi fai entrare in scena Jeff Goldblum (scatenandomi l’ormone nostalgico), per poi non usare alcuno dei due per tutto il resto del film e lasciarmi solo intuire che saranno centrali nel terzo capitolo della nuova saga?
Venendo, invece, alla storia vera e propria, assistiamo nell’ordine a: 1) inseguimenti e disastri talmente rapidi nella successione da non risultare adrenalinici, quanto incompiuti e insoddisfacenti; 2) gag comiche con il t-rex (Dio santo, che rabbia: uno dei più grandi cattivi dell’infanzia e adolescenza cinematografica di molti trasformato in un bestione buffo, utile affinché i bimbi scemi di oggi – cullati in una bambagia più tossica di qualunque schizzo di sangue – non siano turbati); 3) la creazione di un “indo-raptor”, una fusione tra l’indomitus rex e un velociraptor (una scopiazzata, orrenda, della DNA-Digievoluzione dei Digimon, in sostanza); 4) la riproposizione, incredibile, dell’assurda idea – a quanto pare logicissima, secondo molti – di usare dinosauri come armi da guerra (implicando una facilità assolutamente irreale nell’addestrare i suddetti bestioni, affinché siano leali e controllati nelle movenze).
I personaggi non sono da meno (tralasciando la non propriamente eccelsa performance di gran parte del cast, Chris Pratt, Rafe Spall e Isabella Sermon su tutti). Abbiamo: 1) i nostri due protagonisti, Claire e Owen, che ricoprono rispettivamente i ruoli di donna finto-cazzuta e macho inattaccabile ricoperto di plot-armor; 2) il “cattivone” Eli Mills, praticamente un ebete arricchito con un’idea scema, un partner-in-crime ancora più scemo e facilmente manipolabile, destinato ad una fine ridicola ed annunciata (divorato da un t-rex quando, ovviamente, sta per salvarsi – che suspense, signori!); 3) Franklin e Zia, le spalle di questo capitolo, nel ruolo di “nerd che ha paura di ogni cosa e fa commenti buffi per i bimbi scemi, ma alla fine diventa a caso coraggioso” e “ragazza cazzuta, animalista, acculturata, che porta la quota rosa per il neo-femminismo militante”; 4) Ken Wheatley, il capo dei mercenari, sporco e cattivo, ma ovviamente così coglione da aprire la gabbia contenente l’indo-raptor (che sa perfettamente essere l’animale più intelligente del mondo) solo per prendergli un dente (Dio santo, ma siamo negli anni ’20 con l’avorio degli elefanti e le punte di freccia?); 5) la bambina Maisie, che si scopre essere un prodotto della genetica, la quale nel finale salva tutti i cazzo di dinosauri condannando il mondo al caos solo perché “Dovevo farlo. Respirano, sono vivi… come me” (averlo saputo prima, avremmo lasciato stare i poveri nazisti mentre sterminavano gli ebrei).
È quasi un peccato, dunque, che ci sia una sequenza come l’inseguimento tra l’indo-raptor e Maisie in un film come questo: l’interessante eco sprigionata soprattutto dal finale della sequenza (quando il dinosauro apre, cauto, la finestra e lentamente raggiunge il letto della bambina con gli acuminati artigli), che sembra tramutare il momento in un orrido onirico degno di Nightmare (assecondando in pieno la moda del momento a rileggere gli anni ’80, ma con una certa intelligenza e con un’indubbia efficacia visiva), non trova terra fertile su cui attecchire in una pellicola tanto vacua e malamente realizzata come questo Jurassic World – Il Regno Distrutto. Mi verrebbe da sperare che gli sceneggiatori Trevorrow e Connolly (insieme al regista Bayona) partano da questo (poco) buono per lavorare sullo script del prossimo episodio, ma ormai la speranza è diventata più pelle e ossa del buon James Cromwell.
MOVIEQUOTE
Dovevo farlo. Respirano, sono vivi… Come me.