Loro 1 (2018) – Loro 2 (2018)

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Loro (2) di Paolo Sorrentino è la prova artistica più ambiziosa e rischiosa con cui il regista partenopeo si sia mai confrontato: parlare di Silvio Berlusconi.

Difficile, infatti, parlare di un uomo che – pubblicamente, ma non solo – si è sempre mostrato maschera cialtrona e mai davvero essere umano: troppo comodo e scontato, da un lato, semplificare il ritratto alla suddetta maschera, facendo apparire il personaggio come un grottesco clown di piatta umanità; troppo azzardato, dall’altro, evitare del tutto il lato buffonesco del Berlusconi pubblico, per riflettere con focus quasi esclusivo su una sua verità fatta anche di serietà, dubbi e amarezze.

Se Il Divo aveva funzionato alla grandissima come riflessione su un personaggio politico tanto influente, credo ci sia un ovvio motivo: Andreotti è stato una figura molto più silenziosa e pacata a livello pubblico, e la sua rielaborazione (scrittorio-registico-attoriale) in una specie di placido vampiro (tanto sornione quanto pericolosamente intelligente) permette di dare un giusto filtro artistico sia alla figura politica (che molti conoscono) sia alla rappresentazione dell’umano e del privato (che, per forza di cose, è un po’ “immaginata” e non comprovabile al cento per cento).

Non è, ahimè, un caso analogo a quello qui in discussione. In Loro, infatti, Sorrentino appare confuso su cosa vuole davvero dire, su quale storia e quale sfaccettatura raccontare. Già nell’questa confusione appare evidente nella scelta di far entrare in scena Berlusconi solo a mezz’ora dalla fine: la mossa non è in sé sbagliata (la suspense crea un’aspettativa quasi leggendaria: è la stessa sensazione di vertigine che provano gli aspiranti politici e le aspiranti “olgettine” all’immaginare la Sua comparsa), ma concentrandosi così tanto su altri personaggi (Sergio Morra/Scamarcio e la sua degna consorte, Kira/Kasia Smutniak) l’abbandono che ne consegue lascia una sensazione di incompiutezza. Se poi l’1 è incentrato sulle prime avvisaglie di terremoto familiare tra Silvio e Veronica (la parte più interessante dell’intero progetto, pur se un po’ semplice in certe malinconiche romanticherie), il 2 sembra praticamente dimenticarsene (perlomeno fino all’orrendo dialogo tra i due coniugi – di un didascalico spaventoso, recitato troppo asciuttamente da lei e troppo caricato da lui) per puntare tutto sulla “rinascita” pubblica di Berlusconi, controbilanciandola con le prime, evidenti avvisaglie di vecchiaia e decadimento (decadimento non fisico ma di fascino, in corrispondenza dei primi cali nel consenso/amore pubblico).

In generale, l’operazione di Paolo Sorrentino in questo Loro non pare affatto calibrata e ragionata: sia nell’affrontare la sfera privata che quella pubblica, si passa da una serietà un po’ troppo filosofica, che rimane scollata dal proprio protagonista (la tematica della decadenza sembra dipingere un uomo vecchio che non accetta la fine della propria gloria giovanile: ma non è Berlusconi, è solo un uomo vecchio), ad uno spasmo caricaturale nella reiterazione del cantato napoletano e nell’accentuarsi dell’accento milanese, che rendono il personaggio più simile ad un mascherone già visto e rivisto. A livello registico, poi, la classica solennità di Sorrentino è spezzata da un paio di “clip” grottesche che, sinceramente, stonano parecchio (soprattutto il promo à la Maccio Capatonda della fiction su Lady D., un po’ meno il videoclip femminile sulle note di “Meno male che Silvio c’è”): forse era intenzione del regista calcare l’orma del grottesco, ma si avverte – nuovamente – una mancanza di equilibrio fra gli estremi, come se non si avesse avuto voglia di mettersi in gioco davvero, tentando di evitare la facilità dell’eccesso (in un senso e nell’altro).

Quello che rimane è un lungo ritratto di una decadenza generalizzata, che colpisce sia il protagonista che i suoi seguaci, infine consci di aver a lungo inseguito un sogno assurdo (perché fatto di finte verità, vendute come tali da un abile imbonitore – si veda la MOVIEQUOTE) e impossibile da controllare (il breve volo di Sergio e Tamara si schianta irreparabilmente, conducendoli all’infelicità sentimentale): sarebbe, dunque, la ricerca di un Dio sporco e dalla voce alterata, che infine viene come punito dall’altro Dio sotto forma di terremoto, così che possa esserci deposizione e (forse) conseguente risurrezione. Oppure quel Dio sottratto dalla rovina del crollo è lo stesso Berlusconi, qualcuno tanto grande da risultare immune a qualsiasi danno e devastazione la vita (e l’Italia) possano riservargli. Ma è una reliquia troppo generica, troppo poco coraggiosa e ponderata, troppo affidata a certi istrionismi attoriali (che spesso danneggiano il risultato): una pellicola triste e annoiata come il suo protagonista, senza neppure quella convinzione (per quanto residua) di poter davvero vendere un sogno agli spettatori.

“LOCANDIMETRO”

MOVIEQUOTE

La verità è frutto del tono e della convinzione con cui l’affermiamo.