Loro 1 (2018) – Loro 2 (2018)

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Loro (2) di Paolo Sorrentino è la prova artistica più ambiziosa e rischiosa con cui il regista partenopeo si sia mai confrontato: parlare di Silvio Berlusconi.

Difficile, infatti, parlare di un uomo che – pubblicamente, ma non solo – si è sempre mostrato maschera cialtrona e mai davvero essere umano: troppo comodo e scontato, da un lato, semplificare il ritratto alla suddetta maschera, facendo apparire il personaggio come un grottesco clown di piatta umanità; troppo azzardato, dall’altro, evitare del tutto il lato buffonesco del Berlusconi pubblico, per riflettere con focus quasi esclusivo su una sua verità fatta anche di serietà, dubbi e amarezze.

Se Il Divo aveva funzionato alla grandissima come riflessione su un personaggio politico tanto influente, credo ci sia un ovvio motivo: Andreotti è stato una figura molto più silenziosa e pacata a livello pubblico, e la sua rielaborazione (scrittorio-registico-attoriale) in una specie di placido vampiro (tanto sornione quanto pericolosamente intelligente) permette di dare un giusto filtro artistico sia alla figura politica (che molti conoscono) sia alla rappresentazione dell’umano e del privato (che, per forza di cose, è un po’ “immaginata” e non comprovabile al cento per cento).

Non è, ahimè, un caso analogo a quello qui in discussione. In Loro, infatti, Sorrentino appare confuso su cosa vuole davvero dire, su quale storia e quale sfaccettatura raccontare. Già nell’questa confusione appare evidente nella scelta di far entrare in scena Berlusconi solo a mezz’ora dalla fine: la mossa non è in sé sbagliata (la suspense crea un’aspettativa quasi leggendaria: è la stessa sensazione di vertigine che provano gli aspiranti politici e le aspiranti “olgettine” all’immaginare la Sua comparsa), ma concentrandosi così tanto su altri personaggi (Sergio Morra/Scamarcio e la sua degna consorte, Kira/Kasia Smutniak) l’abbandono che ne consegue lascia una sensazione di incompiutezza. Se poi l’1 è incentrato sulle prime avvisaglie di terremoto familiare tra Silvio e Veronica (la parte più interessante dell’intero progetto, pur se un po’ semplice in certe malinconiche romanticherie), il 2 sembra praticamente dimenticarsene (perlomeno fino all’orrendo dialogo tra i due coniugi – di un didascalico spaventoso, recitato troppo asciuttamente da lei e troppo caricato da lui) per puntare tutto sulla “rinascita” pubblica di Berlusconi, controbilanciandola con le prime, evidenti avvisaglie di vecchiaia e decadimento (decadimento non fisico ma di fascino, in corrispondenza dei primi cali nel consenso/amore pubblico).

In generale, l’operazione di Paolo Sorrentino in questo Loro non pare affatto calibrata e ragionata: sia nell’affrontare la sfera privata che quella pubblica, si passa da una serietà un po’ troppo filosofica, che rimane scollata dal proprio protagonista (la tematica della decadenza sembra dipingere un uomo vecchio che non accetta la fine della propria gloria giovanile: ma non è Berlusconi, è solo un uomo vecchio), ad uno spasmo caricaturale nella reiterazione del cantato napoletano e nell’accentuarsi dell’accento milanese, che rendono il personaggio più simile ad un mascherone già visto e rivisto. A livello registico, poi, la classica solennità di Sorrentino è spezzata da un paio di “clip” grottesche che, sinceramente, stonano parecchio (soprattutto il promo à la Maccio Capatonda della fiction su Lady D., un po’ meno il videoclip femminile sulle note di “Meno male che Silvio c’è”): forse era intenzione del regista calcare l’orma del grottesco, ma si avverte – nuovamente – una mancanza di equilibrio fra gli estremi, come se non si avesse avuto voglia di mettersi in gioco davvero, tentando di evitare la facilità dell’eccesso (in un senso e nell’altro).

Quello che rimane è un lungo ritratto di una decadenza generalizzata, che colpisce sia il protagonista che i suoi seguaci, infine consci di aver a lungo inseguito un sogno assurdo (perché fatto di finte verità, vendute come tali da un abile imbonitore – si veda la MOVIEQUOTE) e impossibile da controllare (il breve volo di Sergio e Tamara si schianta irreparabilmente, conducendoli all’infelicità sentimentale): sarebbe, dunque, la ricerca di un Dio sporco e dalla voce alterata, che infine viene come punito dall’altro Dio sotto forma di terremoto, così che possa esserci deposizione e (forse) conseguente risurrezione. Oppure quel Dio sottratto dalla rovina del crollo è lo stesso Berlusconi, qualcuno tanto grande da risultare immune a qualsiasi danno e devastazione la vita (e l’Italia) possano riservargli. Ma è una reliquia troppo generica, troppo poco coraggiosa e ponderata, troppo affidata a certi istrionismi attoriali (che spesso danneggiano il risultato): una pellicola triste e annoiata come il suo protagonista, senza neppure quella convinzione (per quanto residua) di poter davvero vendere un sogno agli spettatori.

“LOCANDIMETRO”

MOVIEQUOTE

La verità è frutto del tono e della convinzione con cui l’affermiamo.

A Casa Tutti Bene (2018)

Pietro e Alba, una coppia che sta per festeggiare i cinquant’anni di matrimonio, invitano sull’isola dove abitano tutta la loro famiglia dispersa per il Mondo: la giornata procede bene, ma quando i traghetti per il ritorno vengono sospesi a causa del maltempo e i parenti sono costretti ad una convivenza forzata, i rapporti iniziano a scricchiolare…

Ah, Gabriele Muccino. Scorsa Stagione l’ho incontrato sul mio cammino con il suo L’Estate Addosso, per il quale ho addirittura creato la prima “recensione-Live” della storia del mio blog. Fu un discreto momento di Trash, devo ammetterlo: nonostante ci fosse un minimo di trama, e il finale più un paio di scene avessero anche una certa valenza drammatica, la stragrande maggioranza della pellicola scorreva pugnalata a sangue da scelte narrativo-registico-attoriali incomprensibili.

Avevo dunque già capito (come, del resto, molti) che il nostro si era completamente bollito, arrivando dai suoi primi film decenti (L’Ultimo Bacio, Ricordati Di Me) a vere e proprie gemme di Trash involontario camuffate da film brutti d’autore confuso. Ma niente poteva preparami a questo.

2018, e Muccino tira fuori dal cilindro A Casa Tutti Bene. Che cos’è questo film? Vediamo di analizzarlo con la maggior freddezza possibile (operazione tutt’altro che semplice).

La partenza è bolsa e noiosa, ma già vibra qualcosa: se l’inizio de L’Estate Addosso era “”sensato”” e slabbrato da esagerazioni, qui si percepisce una tensione sotterranea che crea un certo disagio. Mi spiego: i due coniugi invitano l’intera famiglia sull’isola, e sarà proprio a causa di questo e del maltempo che tutti saranno costretti alla convivenza e la trama potrà aver luogo. Ora, ci sono già almeno un paio di dati che mi fanno rabbrividire: 1) Esistono le previsioni del tempo: se ti accorgi che il mare sarà mosso in quei giorni, che li fai venire a fare i tuoi parenti (per i quali, in caso di emergenza, nemmeno hai sufficienti posti letto)?; 2) Perché mai persone che si odiano profondamente tra di loro decidono di riunirsi tutte quante senza nessun problema? Per alcuni viene fornita una motivazione, ma gli altri proprio non si capisce che ci stiano a fare. Parlo da borghese quale sono, e vi assicuro che i borghesi non fingono così tanto: se non si trovano con alcuni parenti, difficilmente accettano simili reunion.

Ma al netto di ciò, fin da subito si capisce che sarà tutto uno spiegone o un’ovvietà: dall’annuncio che Sandro/Ghini ha l’alzheimer (“Pensa che sia ancora sposata con Carlo”, “No, non lo sai? Ha l’alzheimer”, “Ah, mi dispiace” – sembra che sia rotto una gamba, stessa gravità), all’incrociarsi di sguardi e allo scambiarsi di romaticherie nostalgico-sceme in rigoroso affanno espiratorio di Paolo/Accorsi e Isabella/Cucci (costei va immediatamente a piazzarsi nel novero delle Cagnae Maximae di tutta la storia del Cinema, geniale nel suo buttar fuori 90 ettolitri d’aria dopo la vocale finale di ogni sua battuta), il film sembra un carosello di schemi e stereotipi esagerati, marchiati da una certa presunzione autoriale di commedia/dramma all’italiana.

Quando poi il gruppo viene costretto sull’isola, Muccino spinge incommensurabilmente sul pedale del Trash: anzitutto, si creano frammenti clamorosi di non-sense ridondante (i parenti cantano canzoni vetustissime al pianoforte, per sin troppi secondi e troppi momenti; Sara/Impacciatore canta/stona A te di Jovanotti a voce altissima, di notte, all’interno di una pensione dove si suppone ci siano un sacco di persone che stanno dormendo, e ce le fanno vedere per almeno 30-40 secondi; in 20 secondi di pellicola, si inquadrano 7-8 personaggi diversi che ripetono tutti “Andiamo a cena”, o la variante “Andiamo a cena?”); ma, soprattutto, il nostro decide di creare una sottospecie di piano-sequenza infarcito di urla ed isteria casuale, scatenato nientepopodimeno dal fatto che Ginevra/Crescentini osa dire “questi giovani d’oggi sono un po’ rincoglioniti” perché la figlia sedicenne del suo neo-marito Carlo/Favino c’ha il migliore amico da due anni e non ci ha mai fatto sesso (devo dire che è una delle poche osservazioni sensate dell’intera pellicola), il quale culmina in un tentativo di omicidio goffissimo e maldestro al grido di “Hai rotto il cazzo”.

Tutti i personaggi contribuiscono significativamente a creare questo abnorme melting-pot di Trash: Maria/Milo parla come un robot gallina e ha un momento di depressione casuale quando si rende conto che due dei suoi fratelli sono morti; Sandro/Ghini, essendo malato di Alzheimer, viene utilizzato per creare momenti comici rivoluzionari nei quali (pensate!) prende fischi per fiaschi; Arianna/Falco appare cinque secondi, e ci ricorda tutte le qualità che in 1992 l’hanno resa famosa; Pietro/Marescotti appare circa tre minuti in tutto il film (è il padre, una figura secondarissima proprio) per dire solo “cazzo”, ” o la clamorosa “a me la famiglia sta pure sul cazzo”; Luana/Michelini e Riccardo/Tognazzi avrebbero forse una loro dignità, ma lo scatto di nervi random ed esageratissimo di lei sul finale e le barzellette sconcio-Berlusconiane di lui li rimettono subito al pari degli altri; Alba/Sandrelli ha il suo momento di gloria come fil rouge del piano-sequenza Trash (durante il quale interagisce un po’ con tutti e un po’ con nessuno, al grido di “ma che succede?”, “ma perché urlate tutti?”, “non fare così” e un paio di piantini random), per poi ritrovarsi solamente nella scena con la figlia Sara, alla quale rivela un segreto-stereotipo femminile che Ventennio Fascista levati (“noi donne siamo nate per sopportare: tuo padre mi tradiva, ma poi tornava da me”) per concludere con  un meraviglioso “non bere troppo” (mentre la figlia tracanna un calice di rosso impugnandolo come una cazzuola).

I veri capolavori, tuttavia, nonché i momenti più elevati del melting-pot, sono quelli rappresentati dalle coppie: Ginevra/Crescentini sospetta che qualunque cosa il marito Carlo/Favino faccia sia finalizzata ad abbandonarla (e ho già detto del tentato omicidio), quindi urla come un’isterica ad ogni passo del marito che non sia all’interno di un cerchio di raggio 30cm da lei; Beatrice/Gerini è talmente esasperata dall’alzheimer di Sandro/Ghini da tramutarsi in un frullatore con gli occhi spippati, che ripete ossessivamente “non ce la faccio più!”; e, apoteosi delle apoteosi, la palese infatuazione (che ci si era rivelata fin dal primo nanosecondo di pellicola) tra Paolo/Accorsi e Isabella/Cucci evolve in una sequenza surreale, dove i due prima si baciano come adolescenti scemi (lei, addirittura, fa finta resistenza, tirandogli uno schiaffo e dicendogli “tu sei pericoloso” – per poi emettere i famosi 90 ettolitri d’aria), poi si infrattano in una nave ancorata nel porto al grido di “questa ti porta sull’isola che non c’è” e “signorsì, capitano!” (l’abbiamo capito che i due sono sognatori, secondo voi?), poi scopano mentre si dicono frasi prese dalle foto di culi di Tumblr o Instagram – il tutto per ritrovarsi divisi a causa del fatto che la figlia di lei li scopre, e inizia pestare i piedi, urlare e sentirsi oltraggiata dall’idea che la madre abbia l’amante.

Ma il momento in cui ho capito, finalmente, con nuovi occhi e nuova predisposizione mentale, la vera direzione in cui Gabriele Muccino si è lanciato, è stato il finale. Quando i parenti se ne vanno, finalmente, dall’isola, c’è un nuovo shock: la vicenda si fa super-seria, drammatica, riflessiva. Anticipata dalle uniche due scene decenti della pellicola (quella tra Ghini e la Solarino sulla fede perduta, e quella tra Favino e la Solarino sul loro rapporto ormai concluso – scene che fanno di Elettra/Solarino il miglior personaggio dell’intera storia, ma di leghe proprio), la svolta è tuttavia sconvolgente: mentre Luana e Riccardo se ne vanno alla chetichella, la storia d’amore dei sognatori sembra avere una battuta d’arresto, Carlo e Ginevra paiono ai ferri cortissimi, Sara sembra aver accettato il fatto di dover ingoiare rospi tutta la vita perché Diego le mette le corna a ripetizione, e Sandro ha detto a Beatrice di metterlo in una casa di cura.

Ed ecco, improvvisa, la zampata dell’Autore: la storia d’amore dei sognatori si ripristina grazie al bellissimo dialogo “Allora ci sentiamo, sempre se ti va”, “A me va tantissimo, Isabella!”, per culminare in un “anche se non ti conosco, sento già che ti amo” inviato per messaggio (ricordiamolo: questi sono due quarantenni, non due quattordicenni in preda agli ormoni); Ginevra, dopo aver temuto di essere abbandonata per tutto il film da Carlo, rivela dal nulla che sono mesi che gli fa le corna e che chiederà il divorzio; Sara dice a Diego (che sta per andare a Parigi dall’amante) che andrà con lui a Parigi, praticamente a rovinargli la festa; Sandro si scorda di aver detto a Beatrice di metterlo in casa di cura, e i due si baciano. Ogni possibile profondità di sguardo è annullata, o meglio: è completamente ri-direzionata verso un’ottica di assoluto e cacofonico non-finito finto-surrealista pseudo-realistico.

Ecco, dunque, che cosa sta facendo davvero Gabriele Muccino, signori: non si è bollito come tutti credevamo, no, bensì sta cercando di portare una ventata autoriale nel Trash cinematografico del nostro Belpaese. È una nuova direzione, insomma: e per chi, come me, adora il genere, questa non può che essere una grandiosa notizia.

“LOCANDIMETRO”

MOVIEQUOTE

Signorsì, capitano!

L’Estate Addosso (2016)

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L’Estate Addosso segna una novità fondamentale nella storia del Cinemalato: per la prima volta da quando gestisco questo blog non avrete la solita recensione scritta dalla mia fantasia critico-creativa, bensì una “recensione in diretta”, che mi sono annotato su un taccuino 2.0 (il mio iphone) proprio durante la visione del suddetto film. Si tratterà, ovverosia, dell’insieme delle reazioni a caldo che la nuova pellicola di Gabriele Muccino (su script dello stesso più Dale Nall, da un soggetto di Fausto Brizzi e Marco Martani) ha saputo stimolarmi. E non preoccupatevi se non capirete proprio tutto: sarà una motivazione in più per recuperarvi questo notevole esercizio di trash radical-chic al retrogusto di liberalismo a stelle e strisce. Buona lettura!

Il cane morto a caso per una polpetta e riflessioni sulla morte ad minchiam.

“Addio sole, addio innamoramenti, addio stelle, addio vita” (in voice over).

“Tutto sembra impossibile, finché non viene realizzato” di Nelson Mandela – a caso, detta da Vulcano (er vurcanlogo).

E niente, lui a caso decide di andare in California perché gliene ha parlato er vurcanlogo coi soldi dell’incidente.

Montaggio alternato a caso tra i due (“sei un grande vulcà”).

“Vuoi che ti mando le info del volo via text/parla a caso in inglese per metà della chiamata” (SI CHIAMA MARIA INCORONATO, LMFAOOOOOOOOO): va in viaggio con lui per motivazioni che nemmeno

Percula i 18enni verginelli e ha a culo le donne “ordinarie” come se lui fosse Lou Reed.

CERTO: VULCANO HA FUMATO ED È SVENUTO 36 ORE!!!!

L’americano capisce l’Italiano: i finocchi si risentono per un fags in una maniera che più falsa e meno risentita non si può, e lei è una bigotta.

Lui esce dalla macchina come un cane e urla “SIAMO IN AMERICAAA”.

Informazioni a caso sulla storia degli italiani immigrati in USA.

Ma poi loro due iniziano come amiconi, e dopo due secondi si trattano di merda e finiscono a darsi della BITCH e dell’asshole a caso!

LMFAOOOOOO, lei dice le preghierine!!!

Lui passa di notte e manda a fanculo la porta della stanza di lei: un po’ più esagerati no?

Primo montaggio musicale con canzone populista che parla di come tutti dovrebbero essere liberi di fare quello che vogliono e trovare la propria “sweet song”: e super immagini di landscapes americane che sanno di “libertà”.

Peraltro loro non hanno un cazzo di jet lag, ma ok.

Lui ripete a caso “non ho dormito un cazzo”, lei lo insulta di nuovo in maniera super Smart (“il Giappone è vicino, fai un tuffo nel
Pacifico e nuota nuota ci arrivi”), poi dà dei pervertiti ai due americani (ricordiamo però che a tratti sembra perfettamente ammirata da loro e la loro casa).

Scena a caso di lei al parco che guarda bimbette di 5-6 anni giocare.

Maria, dopo aver insultato i finocchi, è lì che ci ride e scherza e cucina insieme: VUOLE FARE UN ESPERIMENTO ANTROPOLOGICO!!!

Classico americano che vorrebbe vivere a Lecce, e parla per luoghi comuni.

Lei è una puttanazza pazzesca: proprio stronza inside.

Lui ha fatto una scuola internazionale di inglese, ma chiaramente dice “judger”
Invece di “judge”

Riprese con filtri degni di instagram di “landscapes” americane

ECCOOOOOCIIIIII, Matt è bisessuale! E c’ha una storiella qualunque sull’essere gay (“c’ho provato davvero”, “ho pregato Dio che mi cambiasse”, eccetera): peraltro la cosa è introdotta in maniera forzatissima da una domanda a caso del protagonista.

Chiaro, la donna corteggia e insegue l’uomo: CEEEEEEERTO!

Ok, quindi Matt si mette con Jules, che é la sorella di Paul e glielo affibbia tipo tata quando va al college: LMFAO. Ma che storia di merda è?

CHIARO, IL PROTAGONISTA HA LA MAGLIA DEI THE SMITHS PERCHÉ FA INDIE ALTERNATIVO MA NON TROPPO, CHE ALTRIMENTI NON È FIGO!

Inutilissima sceneggiata inseguimento tra i froci, a seguito della quale Paul si apre ai due italiani così dal nulla – dopo essersi lamentato che “ci giudicheranno”.

Matt mentre parla con Jules agita le sopracciglie che nemmeno Elio: ma che è?

CHIAAAAARO, DUE PERSONE CHE SI CONOSCONO PARLANO DELLA LORO VISIONE SULLA VITA!!!!! “MATT SI SENTÌ COME SE IL CUORE VOLESSE USCIRGLI/ESPLODERGLI IN LETTO: CON NESSUNA RAGAZZA AVEVA MAI PROVATO UNA COSA SIMILE” E POI PIANGONO!!!! CHE POESIA!

LUI SCAPPA DA LEI PERCHÉ BOH, FORSE NON VUOLE AFFRONTARLA: LMFAOOOO, LEI GLI LASCIA BIGLIETTINI SULLA MACCHINA, LUI NON LE APRE LA PORTA, LEI FA LA SCENEGGIATA FUORI DALL’APPARTAMENTO!

JULES MANCA POCO VOMITA E INIZIA A CHIAMARLO FAGGOT IN OGNI MODO, MANIERA E FREQUENZA DELL’UDIBILE
UMANO

LA FAMIGLIA È PIÙ BIGOTTA DI HITLER, “POSSIAMO APPENA TOLLERARE CHE TU SIA GAY”, “SEI UNA VERGOGNA”, “NON LO PUOI VEDERE, ROVINERAI LA FAMIGLIA”

CERTO, STI DUE PARTONO A CASO E SI FANNO I “LANDSCAPES” AMERICANI CON MUSICA FOLK DI SOTTOFONDO SENZA UN SOLDO O UN LAVORO E TROVANO UN VILLINO CON GIARDINO NIENTE POPODIMENO A SAN FRANCISCO

E ripartono le litigate falsissime e forzatissime tra i due, con lei che appena svegliatasi è più battagliera di Lady Cocca e lui che le si introduce nel letto a mezza piazza come se nulla fosse, al grido di “Vulcano m’aveva invitato prima a me, caco io, puzzi te”.

LMFAOOOOOOOOO, LEI PENSA DI ESSERE STATA STUPRATA NEL SONNO DA LUI LÌ!

“PER LORO NON SONO ABBASTANZA SFRENATA” E CHIARAMENTE SI SFANNO DI COCA, A 18 ANNI, E LEI LO DICE COSÌ COME SE NULLA FOSSE.

“Sei profondamente, veramente felice?”. A 18 anni.

Paul vuole andare a montare cavalli dopo un’inutilissima scena con il protagonista, Matt approva altrimenti “diventeremo due depressi, e la vita è troppo breve per non essere felici”. Chi se ne se il villino costa 200000$ al giorno.

Spiegone per dirci che è passata una settimana tra Maria e l’inutile: lei cerca di accollarsi a lui perché “da sola come fa, poverina”, e lui le chiede “ma che, vuoi venire con me?” E lei “no” – che vuol dire sì, perché chiaramente Marco inizia a piacerle per 13 buone ragioni e un panino al salame.

LMFAOOOOOOOOOOO, LUI LA SCRUTA E TOCCA AL BUIO SU SOTTOFONDO PSEUDO EROTICO, E I DUE DAL NULLA LIMONANO E SCOPANO FORTE!!!!!!!!

Ah, meno male, era solo una fantasia bruttissima di lui che si raspava.

Battute inutili in barca, tra i tre.

IL SELFIE “A CHI SIAMO E A CHI SAREMO”, E LUI CHE A CASO DICE “OGGI SONO MOLTO FELICE

LOL, CERTO: LA SANTARELLINA É DIVENTATA MILEY CYRUS E TIRA SHOTTINI COME UN IMBUTO: L’INUTILE CON QUELLA MAGLIA SMANICATA DOVE VUOLE ANDARE?

Scena di un patetico in spiaggia: urlano tutti per farci sentire l’emozione, lei urla tutto il suo risentimento per “la suora” e “il mondo che crede di sapere tutto e non sa niente”, poi si struscia a Marco con la scusa che l’acqua era fredda.

Lui si riva a segare in bagno, mentre mormora “Maria” allo specchio come uno zombie.

Il linguaggio del corpo degli attori è imbarazzante: sembrano marionette o spaghetti stracotti, fintamente sciolti.

Ma lei, cazzo, era una suora bigotta di merda e in 7 giorni è diventata la life-trainer iper open-minded del mondo.

ECCOCIIII, LA TELEFONATISSIMA ED INSPIEGABILE SLINGUAZZATA DI MARIA E MATT!

Con successivo momento di imbarazzo, e nuovamente patetico linguaggio del corpo.

Ma poi è possibile che ora si vogliano ubriacare tutte le sere, dopo che le prime sere stavano praticamente in casa fissi?

La nuova Maria e il Nuovo Matt ballano su “Jovanotti” per motivazioni note a chessoio: peraltro la nuova Maria è un’arrizzacazzi, e il nuovo Matt un traditore puttaniere.

Lei è meno credibile da ubriaca di Rosy Bindi.

MA LUI SI È INNAMORATO DI LEI PER QUALE CAZZO DI MOTIVO???? E LEI DI MATT PERCHÈ????

Lmfao, lei si addormenta e non lo caga mentre l’inutile le confessa un amore assurdo.

“Vivevamo sospesi tra passato, presente e futuro”: ma sempre da borghesi, coi soldi di chi vorrei saperlo.

“Non voglio tornare alla mia vita convenzionale di Roma, voglio restare qui con tutti voi”. Sta zoccola. E infine se lo SLINGUA. A caso. Ma si alza quando sente dire “BALENE”. LMFAOOOOO.

LMFAOOOO, DOPO AVERLO BACIATO LEI SI RIFIUTA PERCHÉ LE PIACE IL FROCIO CHE NON VEDRÀ PIÙ TRA 4 GIORNI!!!

Chiaramente a Cuba hanno l’auto da 2000000 $, nuova fiammante.

“Tutto era così perfettamente imperfetto, e quei pochi centimentri di imperfezione erano la cosa che ci faceva sentire felici”. Certo, l’imperfezione è labella vacanza di 21 giorni e rotti da ricconi radical-chic pagati dal Papi.

ECCOCI CON IL SUONATORE CUBANO DI FOLK – CHE NORMALMENTE SAREBBE ALLONTANTO A PEDATE, MA QUI FA DA PERFETTA OST PER I “LANDSCAPES” CUBANI E I LORO SORRISONI RADICAL.

A riborda ragionamenti a cazzo sulla morte, ma perché?

E DANZANO INTORNO AL FUOCO IN SLOW MOTION CHE PAIONO IN TRANCE MISTICA/VUOTO COSMICO, OH MIO DIO!

L’inutile servizio fotografico di Matt, e poi la versione cuban-folk di “è un’eftate belliffima”, tutto rigorosamente su sfondo di “LANDSCAPES” cubani da 10000000$

Certo, Paul ha lasciato il lavoro grazie a Marco, figuriamoci.

Niente, lui friendzonato fino alla fine a suon di “grazie per essere stato con me” LMFAO

La casa di Federico, a riborda, è da 1000000$

Lei però si fa una doccia e piange con musica pseudo-folk triste, boh: un po’ di malinconia ok, ma mica sta roba dai!

L’inutile si scopa una mega figa di 30 anni per 3 volte di fila che ne trova l’accento “sexy”: credibilissimo.

“CHE SCHIFO MARÌ, DOVE SIAMO FINITO TUTTI? PERCHÈ NON IO” SE LO DICE ANCHE DA SOLO CHE COME MONOLOGO FA PENA.

LMFAOOOOOOOOOOOO, LEI GLI DICE CHE FINALMENTE SA COSA SIA UN ORGASMO, POI LUI LE DICE “DEVI SMETTERLA DI TORTURARMI, PUTTANA”!!!!

Chiaro, appena finita l’estate “chi s’è visto s’è visto”. “MA SEI CRESCIUTO IN UN MESE????” A 18 ANNI!!!! LMFAOOOOOO

Beh, a lui è cresciuta la barba: dunque è maturato.

Mi ci manca il discorso finale sulle estati che ti rimangono dentro, che poi mi commuovo davvero perché a me sono accadute sul serio.

“LOCANDIMETRO”

Suicide Squad (2016)

Amanda Waller – agente governativo statunitense – decide di mettere insieme una speciale task force fatta di pericolosi criminali, da utilizzare (sotto controllo) per contrastare la comparsa di eventuali super-cattivi, ai quali le normali forze dell’ordine o i super-eroi non siano in grado di tenere testa. Ma uno dei “meta-umani” prescelti (l’Incantatrice) si libera dal controllo, ed attacca Midway City con l’intenzione di costruire una terribile macchina e spazzare via tutto il genere umano…

Perché sono andato a vedere Suicide Squad? La domanda mi veniva posta pochi giorni or sono (forse ieri, non rimembro perfettamente), e la mia risposta si articolava in due punti chiari e precisi:

  1. Da quando Sam Raimi con Spiderman e Christopher “Dio” Nolan con Batman hanno dato un bello scossone al Cinema di genere (donando spessore e modernità ai propri personaggi ed alle proprie trame, reinterpretando personaggi storici del fumetto per farne simboli e veicolare messaggi spesso molto diversi dagli originali), spero sempre di rimanere quantomeno piacevolmente sorpreso da un nuovo film che parli di supereroi;
  2. Mai nella mia vita avevo letto così tante recensioni unanimi nel definire un film “orrendo”: speravo dunque – lo confesso – di trovarmi di fronte ad un nuovo La Notte Del Giudizio, ovvero una pellicola alla quale avevo assegnato l’ambitissimo (e sinora unico) “0 (Non-Cinema)” della mia breve storia di blogger.

Eppure – probabilmente perché avevo simili aspettative – sono rimasto deluso su entrambi i fronti: Suicide Squad è un filmaccio putrido, ma non ai livelli di casualità e inesistenza vacua che il film di DeMonaco raggiungeva.

Registicamente parlando, Ayer prova ad utilizzare un linguaggio molto “pop” e di grande impatto visivo, cercando di fare dell’esagerazione la sua cifra – una sorta di trash artistico. Purtroppo però il buon David straripa a tal punto da risultare semplicemente di cattivo gusto: le scritte con grafica alla “wordart” utilizzate per le schede dei cattivi, le sterotipate monoespressioni in cui sono forzati i vari personaggi/attori, gli orripilanti costumi a metà tra il revival fumettistico e l’urban moderno (al primo gruppo appartiene quello di Deadshot, al secondo quello di Harley Quinn), contribuiscono solo a far sembrare il lavoro conclusivo sciatto e amatoriale (nel peggior senso possibile del termine). Ciò che probabilmente il nostro stava cercando di ottenere era un effetto “videoludico” alla Scott Pilgrim Vs The World, ma rispetto alla pellicola di Edgar Wright casca lontanissimo come qualità.

La scelta della colonna sonora è – a sua volta – pessima e immotivata. Mi spiego: Suicide Squad contiene estratti da un sacco di pezzi famosissimi (Sympathy For The DevilThe House Of The Rising SunParanoidFortunate Son, Super FreakSeven Nation ArmySpirit In The SkyWithout MeBohemian Rhapsody). Tralasciamo il fatto che molti di questi brani non appartengano neppure allo stesso genere, il punto è che non si capisce la motivazione della loro presenza. Se tu mi fai ascoltare canzoni entrate ormai nell’immaginario comune, e non c’è una logica forte dietro tale scelta, mi viene solo da pensare che tu stia facendo il furbetto e mettendo canzoni alla minchia di cane per creare dei mini video-clip con cui arrufianarti la folla – l’effetto Guardiani Della Galassia, dove c’era una logica sia narrativa che strutturale per l’uso della musica anni ’80, è qui completamente mancato. All’inizio sembra quasi che ogni canzone serva per creare un “tema” ai personaggi (un po’ alla Siegfried), ma chiaramente questo non è il caso visto che la dinamica si interrompe dopo Deadshot ed Harley Quinn.

Questa è un’altra gran bella pecca di Suicide Squad, il concentrarsi (male) su due soli personaggi della squadra. A Deadshot e Harley Quinn sono dedicate praticamente tutte le attenzioni dello sceneggiatore (lo stesso David Ayer), è ciò mette decisamente in secondo piano gli altri personaggi: alla fine della fiera, di personaggi come Capitan Boomerang, Killer Croc, El Diablo, Katana, Slipknot e Rick Flag, ci importa davvero poco. Ora questo non sarebbe un problema, in linea di massima: se prendiamo Capitan Boomerang o Killer Croc, ad esempio, appare evidente che il loro ruolo sia pensato come quello di spalle comiche, e dunque che non sia necessario un vero approfondimento psicologico – anche se rimangono comunque mal strutturati, facendo appena abbozzare mezza risata quasi per errore. Il problema scatta, semmai, con gli altri quattro elementi, e con quella che dovrebbe essere – in generale – la morale del film.

El Diablo, Katana e Rick Flag dovrebbero risultare commoventi agli occhi dello spettatore: il primo ha ucciso moglie e figli in un eccesso di rabbia, alla seconda è stato ucciso il marito, il terzo è innamorato di una donna posseduta da un antico e devastante demone. Perché, dunque, risultano empatici quanto una scatola di sardine? Presto detto: non basta un flashback o un paio di frasi ad effetto per creare un’emozione, se poi per tutto il resto del film i suddetti non fanno che menare le mani, compiere azioni ridicole o rimanere bloccati in un’unica stereotipata maschera. Capite bene, poi, che se questo effetto lo si ottiene pure con i personaggi più approfonditi, allora si è proprio sbagliato qualcosa.

Perché neppure Harley Quinn e Deadshot sono realmente approfonditi, nonostante si dedichi loro molto più tempo per esplorarne il background: la prima si trova legata a doppio filo con Joker in una folle storia d’amore, la cui componente “sincera” è però rivelata casualmente grazie ad un confuso flashback – quando fino a quel punto era sembrata semplicemente una relazione di superficiale attrazione chimica; il secondo è strutturato male per motivi diametralmente opposti, dato che sembra semplicemente uno dei buoni fin dall’inizio – in tal senso, la scelta di Will Smith (attore ormai legato al ruolo dell’eroe nell’immaginario comune) è oltremodo perdente in partenza.

Questo chiaramente intacca anche l’idea di far vedere i “cattivi” in un’ottica diversa, secondo la quale essi sono i capri espiatori della società per ogni cosa che vada male – quando in realtà molti di loro non sarebbero neppure malvagi (Deadshot, El Diablo): dal momento che nessuno di essi presenta una benché minima ambiguità, questa idea rimane solo un terribile spiegone perpetrato da Deadshot nella pur bella scena del bar – che sarebbe ben realizzata, ma si trova all’interno del film sbagliato. Altro problema legato al minutaggio male utilizzato riguarda il gruppo: dovrebbe passare l’idea che i cattivi leghino tra di loro e si crei un vero sentimento fraterno, ma nuovamente si tratta di un qualcosa che passa forzatamente da uno spiegone di Will Smith, perché lo spettatore non riesce davvero ad accorgersi del consolidamento di questa nuova “famiglia”.

Per finire, una carrellata di roba brutta casuale che ho mentalmente annotato durante questa atroce visione:

  1. Il meraviglioso controllo di Amanda sull’Incantatrice (le ha rubato il cuore, elemento a quanto sembra vitale, e se lo porta sempre appresso per pugnalarlo in caso di ribellione) è tanto poderoso che il demone riesce beatamente ad ignorarlo e a scappare dal fratello per aggirarlo del tutto;
  2. Slipknot viene introdotto in maniera completamente random molto dopo gli altri membri della squadra: mentre mi chiedevo il perché, ecco che il ragazzone mi muore in maniera ridicola in una scena patetica – letteralmente utilizzato come esca da uno dei suoi compagni per scoprire se la bomba nel loro collo fosse o meno un bluff;
  3. Lo so che sono piccolezze, ma quando la voce narrante mi presenta Harley Quinn come una che “ha meno paura di Joker”, e nella scena immediatamente successiva questa urla in preda al panico “aiuto, non so nuotare!”, mi scatta il facepalm;
  4. “Fai del tuo meglio, puttana!”, ovvero le incredibili frasi fatte e fuori luogo di Amanda, quando si trova al cospetto di una pseudo-divinità con il potere di disintegrare il mondo;
  5. Il design della macchina dell’Incantatrice non ha proprio senso: sembra un cerchio magnetico che attira pezzi di ferraglia, ma poi i suddetti pezzi rimangono lì a galleggiare e non compongono niente. A questo punto – trash per trash -poteva essere interessante vedere l’Incantatrice dentro un Transformer, che so…;
  6. Joker è un gangster psicotico davvero poco interessante: mi dispiace per Leto che è un bravo attore, ma tra il poco minutaggio concesso e le piatte frasi alla Tarantino che gli hanno messo in bocca proprio non ci siamo;
  7. La macchina distruggi mondo dell’Incantatrice non distrugge proprio un cazzo: si limita a fottere un paio di satelliti (generando un’altra inutile scena di due secondi, con un tizio pelato a caso che afferma “ha distrutto proprio il nostro satellite principale!”) e stop. Mi aspettavo qualcosa di più rapido e letale, un po’ alla Majin Bu per intenderci;
  8. La scena in cui alla Waller viene un embolo e spara a tutti quelli che sapevano della Suicide Squad è semplicemente un capolavoro di comicità involontaria (e poi: si è capito perché mai la squadra fosse stata dirottata in quel luogo, invece che direttamente dall’Incantatrice?);
  9. Perché il fratello dell’Incantatrice viene ucciso da una bomba? Cioè, da una cazzo di semplice bomba? Quella bodda lì?;
  10. Perché El Diablo, nel finale, diventa anch’egli una specie di divinità fiammeggiante senza che ci fosse stato un minimo preavviso? Usare i personaggi in maniera tanto forzata per sbloccare uno snodo narrativo defunto è proprio una mossa di bassa lega;
  11. Perché l’Incantatrice, invece di uccidere tutti quelli della squadra, giocherella con loro per qualche minuto e poi si fa sorprendere come un’idiota e muore?;
  12. Perché i minions dell’Incantatrice sono così stupidamente amorfi? Uno dei design meno ispirati che mi ricordi nel Cinema di genere;
  13. Ogni tre per due il film si sente in diritto di piazzare uno spiegone casuale e assolutamente non necessario: succede quando Rick Flag ribadisce per la trecentesima volta che nella spada di Katana ci sono le anime di coloro che sono morti (compresa quella del marito), e quando lo stesso Rick Flag urla ai membri della squadra “ora che non ha il cuore è indebolita!”, nonostante ci sia stato ripetuto fino alla nausea che il cuore è il centro vitale dell’Incantatrice.

In sostanza, il motivo per cui salvo Suicide Squad dallo 0 assoluto è da ricercarsi nel fatto che l’idea di fondo non fosse assolutamente malvagia, e nel fatto che due-tre scene sarebbero anche ben girate, recitate e congegnate – ma si trovano, come detto, all’interno del film sbagliato. Rimane comunque un orribile inizio di Stagione, che spero vivamente non detti il trend per i futuri 11 mesi di visioni cinematografiche.

“LOCANDIMETRO”

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Siamo cattivi, siamo fatti così.