The Help (2011)

L’ennesimo film sulla problematica relativa ai neri d’America, trattati in maniera disumana dai loro padroni bianchi, quasi alla stregua di pezzi di mobilio (una delle cameriere si lamenta di essere considerata “proprietà” dei suoi padroni) o di animali (con bagno separato, per prevenzione nei confronti delle malattie dei neri, diverse da quelle dei bianchi e dunque incurabili). Se ne sentiva davvero il bisogno, dopo tutti i biopic dei capi del movimento (in primis Malcolm X, un’epopea di tre ore circa sulla figura del più controverso e turbolento fra i “protestanti”)? Fra l’altro questo film è facilmente confrontabile con il precedente più famoso, Il Colore Viola, diretto da Spielberg nel 1985. Quindi la risposta è: no, non se ne sentiva il bisogno.

Eppure The Help ha alcuni pregi che mi sembra doveroso sottolineare. Anzitutto evita in maniera astuta ed efficace un eccessivo pathos; non si preme quasi mai sul pedale dell’emozione gratuita, riuscendo comunque a far percepire un genuino sentimento di desolazione, mista a rabbia, provato dalla minoranza di colore nel profondo Sud. Merito di una sceneggiatura  semplice ma mirata, che fra l’altro apre una piccola “side-story” molto gradevole (con protagoniste la cameriera Minny e la sua neo-padrona svampita ma di buon cuore) in mezzo allo pseudo-dramma della lotta per la parità dei diritti e l’emancipazione afroamericana.

Proprio la storia secondaria di cui ho accennato mi permette di evidenziare il secondo pregio del film. Per quanto io non voglia mettere in dubbio le sofferenze patite dalla popolazione nera nel periodo in esame, mi sembra assurdo che nella maggior parte dei film che trattano l’argomento tutti i bianchi siano incondizionatamente degli emeriti bastardi. In questo film invece si nota la presenza di molte persone che, più o meno evidentemente, sono dalla parte del “bene”, e lottano al fianco dei loro fratelli afroamericani, ingiustamente discriminati.

La pellicola, anche a questo ho già accennato, riesce inoltre a giocare bene l’equilibrio fra comico e drammatico: le due cameriere, Aibileen e Minny, rappresentano le due facce della popolazione oppressa, una triste e malinconica, l’altra energica e solare. E sono bravissime tutte le attrici, che compongono il folto cast di The Help, a risultare sempre nella parte in entrambi i registri (spiccano la protagonista bianca e sognatrice, Emma Stone, e le due protagoniste della “side-story”, Octavia Spencer e Jessica Chastain, la prima delle quali si è già portata a casa il Golden Globe come Non Protagonista).

Ciò che invece metterei nei difetti riguarda soprattutto lo scritto. Ho lodato la semplicità della sceneggiatura, ma è certo che ormai sempre più numerosi sono quei film che, partendo da una base semplicistica e “banalotta”, si affidano in gran parte alla bravura del cast per risollevare eventuali punti morti della storia. Forse un pizzico di originalità e rischio in più non guasterebbero agli sceneggiatori dei film più recenti; anche Tate Taylor, “Director” e autrice del copione, è colpevole di questa “semplicità”. L’attenuante, in questo caso, è comunque data dalla preesistenza di un cartaceo, L’Aiuto, opera di Kathryn Stockett, che probabilmente la regista ha trasposto con grande fedeltà.

Il finale, poi, è una caduta di stile che lascia un pò di rammarico. L’equilibrio fra miele e sentimento genuino si spezza, e in una conclusione tutta al glucosio vediamo pianti disperati di cameriere, padrone e bambine piccole dai grandi occhi azzurri e dai capelli dorati. Perchè?! I cinque minuti più inutili di questa stagione, a pari merito con il (lunghissimo) finale di Quando La Notte.

In conclusione, The Help rispecchia la sua storia; genuino e semplice, anche se proprio per questo forse un pò scontato. Un buon film, consigliato a chi si sa emozionare con queste piccole, grandi vicende; certo se cercate un film “originale” cascate proprio male.

VOTO: 3,5/5

MOVIEQUOTE

Tu sei carina. Tu sei brava. Tu sei importante.

 LEGENDA VOTI

5/5=10  4,5/5=9  4/5= 8  3,5/5=7,5  3/5=7  2,5/5=6  2/5=5  1,5/5=4  1/5=3  0,5/5=2  0/5=0

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11 commenti

  1. Luca

     /  gennaio 26, 2012

    Mmmh…
    Mi trovi in disaccordo sul finale.
    Lì rappresenta quello che secondo me è l’aspetto principale che il film voleva sottolineare e che più volte ribadisce chiaramente: il rapporto che si crea con la famiglia bianca non è solo un rapporto schiavo-padrone, di servizio.
    La Davis (ahimè non Bette, ma molto brava lo stesso) che in lacrime chiude la porta e si allontana dalla piccola bambina che cresceva, fa capire che il prezzo della dignità è un prezzo alto da pagare e che per lei lasciare quella bambina in lacrime è stata una delle scelte più difficili e sofferte. Tutto questo lo vedi nel momento in cui Aibileen “vomita” il suo pensiero addosso alla padrona e appena quest’ultima se ne va, lei resta un momento (lungo, per essere chiamato solo momento) immobile, con le lacrime che salgono e il respiro che visibilmente le manca.
    Lì si rende conto che parlando ha fatto una scelta, si è liberata.
    Ma la sua libertà ha avuto un costo molto alto, la piccola bambina.
    Un mezzo punto in più, su.

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  2. Secondo me il fatto che “il rapporto che si crea con la famiglia bianca non è solo un rapporto schiavo-padrone, di servizio” e “il prezzo della dignità è un prezzo alto da pagare”, si capiva già abbastanza bene dal resto (equilibrato) del film; ho visto il finale come un momento, più che altro, di tentativo gratuito di pressione emotiva sul pubblico. Anyway rispetto lo tuo magno parere, e comunque tengo a sottolineare che il cognome Davis tanto male non deve portare agli attori/attrici; hai mai pensato ad un nome d’arte? 😉

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  3. Franci

     /  gennaio 31, 2012

    Sarà anche l’ennesimo, come dici tu. “L’ennesimo film sulla problematica relativa ai neri d’America, trattati in maniera disumana dai loro padroni bianchi, quasi alla stregua di pezzi di mobilio o di animali”.
    ma se la domanda è se ce ne fosse bisogno la risposta è senza dubbio, incondizionatamente, assolutamente affermativa. sì, ce n’era bisogno. così come c’è bisogno ogni volta di soprendersi di fornte a ciò che già si conosce, ad una pratica inveterata e nota ai più, così come c’è bisogno di sorridere di occhi grandi e azzurri di una bambina, così come c’è bisogno di indignarsi ogni volta di fronte all’arroganza, a quell’ostinato modo di prevaricare chi, per motivi storico- politici, risulta più debole.
    la sopraffazione del più debole è storia, purtroppo. anzi, sta nella natura. Ma spetta agli uomini prenderne atto, conoscerla, saperla distinguere e condannarla.
    Gli occhi della madre di Emma Stone che sa di sbagliare ma è troppo pavida per rinunciare ad una cazzo di medaglietta delle Sorelle d’America sono memorabili.
    Così come memorabile, anzi, da tenere bene impresso nella memoria è che ciascuno ha la possibilità, oltre al dovere, di cambiare, di rimediare ai propri errori.

    Un film originale è un film che fa riflettere perchè oggi, ahimè, fanno di tutto per narcotizzare il pensiero umano. anche il più banale.

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    • Sul fatto che di certe cose è sempre bene non scordarsi hai indubbiamente ragione, ma la mia “critica”, per così dire, era su altro fronte.

      Ciò che a me non piace, del cinema in generale degli ultimi tempi, è che si è sempre meno originali nelle storie affrontate; siccome anche The Help rientra in questi canoni (come ho già detto nell’introduzione ci sono già stati numerosi film sull’argomento) allora per questo ho affermato che “non se ne sentiva il bisogno”; ma quando poi sono ben fatti, allora hanno un valore anche questi film “abusati” (e infatti 3,5 non è poco).

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  4. Mmmmmhmmmm! u.u

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