La leggenda di Hugh Glass – trapper realmente esistito tra fine ‘700 e inizio ‘800 – che sarebbe sopravvissuto per diversi giorni dopo essere stato abbandonato in condizioni critiche dai suoi compagni di spedizione: molla dell’impresa, il sentimento di vendetta covato nei confronti dell’arrivista Fitzgerald per avergli ucciso il figlio avuto da una squaw pellerossa.
Alejandro Gonzalez Inarritu: il ragazzo non mi è mai stato troppo simpatico. Amores Perros era un ottimo drammatico con una trovata interessante di fondo (l’incrocio dell’incidente, crocevia fisico e narrativo allo stesso tempo); Babel una versione aggiornata di Perros secondo ritmi e canoni più hollywoodiani; Birdman una notevole novità in termini di genere e tematiche, decisamente convincente nonostante un finale un po’ pesante. Eppure nessuno di questi film mi ha davvero mai convinto fino in fondo: c’è sempre stato un certo incedere “fighetto” (che fosse l’eccessiva pesantezza dei primi due, o l’inutilissimo piano-sequenza del terzo) che mi ha disturbato durante la visione.
Revenant-Redivivo è la terribile conferma dei miei sensi di ragno. Revenant-Redivivo è il film dove Inarritu si scorda completamente della vicenda, dei personaggi, delle tematiche, delle emozioni, e si concentra esclusivamente sul suo essere/sentirsi incredibilmente figo. E il risultato è una pellicola tanto povera quanto tronfia nell’esserlo.
Il film si apre su una sorta di prologo “onirico” dall’incedere lento, sulle parole di un monologo in dialetto pellerossa, su immagini che sembrano inserire l’uomo in un contesto naturale quasi panico. Ad esso fa seguito un’apertura nel segno dell’iperrealismo, con gli attori che entrano in scena da angolazioni poco ortodosse, di nuovo l’incedere lento e quasi “magico” della telecamera (in perfetta sincronia con l’avanzare incerto dei personaggi nell’acqua stagnante), e una schermaglia tra pionieri e pellerossa tanto sanguinolenta quanto poco epica (una demitizzazione totale, insomma). Allora uno pensa di trovarsi davanti a qualcosa che ci possa ricordare il Malick di The Tree Of Life o La Sottile Linea Rossa; un film, insomma, che voglia farci riflettere su tematiche profonde ed universali tramite un uso potente delle immagini – invece di affidarsi alle parole.
Eppure il film va avanti, e le cose si fanno molto diverse. Allo spietato iperrealismo di apertura seguono una serie di scene che la mettono decisamente di più sulla “fantascienza-realistica”: non solo DiCaprio/Glass sopravvive ad uno scontro con un enorme grizzly che lo aggredisce 3 volte (quando i suoi amici sono morti per una semplice freccia indiana nella schiena), ma riesce pure a non morire nonostante le ferite riportate e l’assenza di medicinali/condizioni igieniche ed atmosferiche adeguate. Non avrei problemi con questo, se il film adottasse altre vie per spiegarmelo: se il tutto assumesse il peso leggendario di un Siegfried wagneriano – un eroe totalmente distaccato nello spazio e nel tempo del mito, nonostante la sua natura umana – allora la resistenza di Glass sarebbe ben accetta; ma vedere che il motivo per cui tale impresa epica si realizza è la morte di un figlio (verso il quale, peraltro, Glass non sembra avere un legame poi così forte – non basta qualche scenetta “onirica” con frasi fatte in dialetto pellerossa per creare un legame tra due personaggi) mi fa cadere la mandibola.
E andiamo ancora oltre, perchè gli orrori non sono finiti. L’epopea diviene – esagerando i difetti di un film come Amour di Haneke – puro compiacimento nell’osservare un’eccessiva sofferenza umana. Mi dispiace, ma personalmente non ci sto a considerare “vicenda” il trascinarsi arrancante di un semi-cadavere umano per più di mezz’ora (dove tutto ciò che ci è concesso è vederlo sbuffare, sbavare, rantolare, mentre il suo corpo resiste a quella che naturalmente sarebbe stata una disintegrazione totale): è inutile, è ridondante, e non è nè epico nè credibile. Non ho neppure apprezzato il trucco, perchè non mi ha regalato l’emozione di sentirmi un corpo debole in lotta con la natura: piuttosto mi ha lasciato con l’idea di una persona che avesse delle pustole virulente sulla faccia, e una qualche forma acuta di bronchite.
In tutto questo, Inarritu e Mark L. Smith ci regalano una serie di inutili scenette intermedie. Fitzegerald/Tom Hardy parla con il suo zerbino di come un pazzo avesse trovato Dio in uno scoiattolo (dialogo completamente inutile per approfondire i due personaggi, e completamente inutile anche per quanto riguarda il resto del film); DiCaprio fa l’ennesimo sogno in cui trova il figlio morto all’interno di una chiesa diroccata (simbolo di Fede forte/ritrovata? personalmente mi è più che altro sembrato un simbolo di radical-chiccaggine); Fitzgerald e il capitano Henry festeggiano il capodanno e si scambiano inutili frasi ad effetto dalle quali dovremmo capire che il buon Tom Hardy interpreta un profittatore senza scrupoli (come se non l’avessimo già capito dalla prima scena in cui è apparso).
Ciliegina sulla torta dell’operazione è la spicciolissima morale a favore dei poveri pellerossa nativi, che sono stati uccisi ed espropriati dalle loro terre dai cattivoni bianchi. Tralasciando che sequenze come quella in cui l’indiano cura Glass e poi viene ritrovato impiccato dai bianchi con la scritta “siamo tutti selvaggi” sono di un retorico che sfiora il vomitino, qual è il motivo per cui vuoi parlarmi di questo problema all’interno di quello che doveva essere il viaggio titanico-epico di un singolo contro la Natura e la cattiveria dell’Umanità? Non lo capisci che stai sottraendo tempo prezioso a rendere più viva e forte la caratterizzazione di Glass e Fitzgerald, solo per introdurre una tematica di stampo razzial-ecologica che risulterà a sua volta poco significativa (sempre per la mancanza di tempo)?
Ma chiaramente no, Inarritu tutto questo non lo sente e non lo percepisce. Evidentemente per essere un grande regista basta fare inquadrature lunghissime e casuali di montagne innevate, foreste incontaminate, larghe mandrie di bisonti, folkloristiche cavallerie pellerossa, in perfetto stile National Geographic (stesso difetto della parte “macrocosmica” di The Tree Of Life, ad esempio). Ed evidentemente fissare per ore la faccia paonazza di un DiCaprio rantolante e sputazzante saliva condensata è ciò che fa di un film un’epopea epica. Altrettanto chiaramente, questo non impedisce comunque un finalone all’americana in perfetto stile Io Vi Troverò: si parte con la frase ad effetto di DiCaprio (che posto in MOVIEQUOTE), si prosegue con il capitano Henry che si fa sorprendere da Fitzgerald come un babbaleo (con i due che si scambiano un dialogone di quelli proprio alla Buono, Brutto E Cattivo) e il duello finale con imboscata+corpo a corpo sanguinolento tra Glass e l’obiettivo della sua vendetta. Tutto questo secondo un ritmo improvvisamente fattosi fulmineo -perchè va bene essere Malick ma fino ad un certo punto.
Ah, e chiaramente non è Glass ad uccidere Fitzgerald, no. Perchè “la vendetta è nelle mani di Dio”, e “Dio” a quanto pare sono i pellerossa che passavano alla cazzo di cane proprio da quelle parti – gli stessi indiani che risparmiano Glass perchè, tra le sue tante peripezie (visto che tanto a sopravvivere in condizioni critiche gli ci voleva lo stesso sforzo che fa mia madre a fare la spesa all’esselunga), ha salvato la figlia del capo catturata dai cattivoni francesi. Come a dire, insomma, che Glass sarebbe pure “maturato”, e invece di fare come nel passato (quando aveva ucciso l’ufficiale che gli aveva ucciso la moglie) avrebbe affidato Fitzgerald alla giustizia divina. Wow, che riflessione potente, che grande evoluzione del personaggio, che romanzo di formazione moderno!
In conclusione, Revenant – Redivivo è una ciofeca travestita da filmone, dove tutto ciò che si può salvare sono i paesaggi (che certo non sono un merito del regista, dello sceneggiatore, del cast o della troupe) e la sequenza di scontro con i pellerossa che però rimane completamente fine a sè stessa. Per il resto abbiamo il vuoto cosmico, coperto dal roboante annuncio di aver girato tutto con “luce naturale” – che a quanto pare fa figo e rende un film automaticamente un capolavoro (a cui si aggiunga che DiCaprio – vegeteriano – ha dovuto mangiare fegato crudo di bisonte: che prova attoriale, signora mia! Altro che The Wolf Of Wall Street, altro che The Departed, altro che Django Unchained!). Però, almeno su queste pagine, mi voglio prendere una personale “vendetta” contro “questo” Inarritu, e negargli anche solo lontanamente l’immeritata sufficienza.
“LOCANDIMETRO”
MOVIEQUOTE
Non ho paura della morte… sono già morto.