Pietro e Alba, una coppia che sta per festeggiare i cinquant’anni di matrimonio, invitano sull’isola dove abitano tutta la loro famiglia dispersa per il Mondo: la giornata procede bene, ma quando i traghetti per il ritorno vengono sospesi a causa del maltempo e i parenti sono costretti ad una convivenza forzata, i rapporti iniziano a scricchiolare…
Ah, Gabriele Muccino. Scorsa Stagione l’ho incontrato sul mio cammino con il suo L’Estate Addosso, per il quale ho addirittura creato la prima “recensione-Live” della storia del mio blog. Fu un discreto momento di Trash, devo ammetterlo: nonostante ci fosse un minimo di trama, e il finale più un paio di scene avessero anche una certa valenza drammatica, la stragrande maggioranza della pellicola scorreva pugnalata a sangue da scelte narrativo-registico-attoriali incomprensibili.
Avevo dunque già capito (come, del resto, molti) che il nostro si era completamente bollito, arrivando dai suoi primi film decenti (L’Ultimo Bacio, Ricordati Di Me) a vere e proprie gemme di Trash involontario camuffate da film brutti d’autore confuso. Ma niente poteva preparami a questo.
2018, e Muccino tira fuori dal cilindro A Casa Tutti Bene. Che cos’è questo film? Vediamo di analizzarlo con la maggior freddezza possibile (operazione tutt’altro che semplice).
La partenza è bolsa e noiosa, ma già vibra qualcosa: se l’inizio de L’Estate Addosso era “”sensato”” e slabbrato da esagerazioni, qui si percepisce una tensione sotterranea che crea un certo disagio. Mi spiego: i due coniugi invitano l’intera famiglia sull’isola, e sarà proprio a causa di questo e del maltempo che tutti saranno costretti alla convivenza e la trama potrà aver luogo. Ora, ci sono già almeno un paio di dati che mi fanno rabbrividire: 1) Esistono le previsioni del tempo: se ti accorgi che il mare sarà mosso in quei giorni, che li fai venire a fare i tuoi parenti (per i quali, in caso di emergenza, nemmeno hai sufficienti posti letto)?; 2) Perché mai persone che si odiano profondamente tra di loro decidono di riunirsi tutte quante senza nessun problema? Per alcuni viene fornita una motivazione, ma gli altri proprio non si capisce che ci stiano a fare. Parlo da borghese quale sono, e vi assicuro che i borghesi non fingono così tanto: se non si trovano con alcuni parenti, difficilmente accettano simili reunion.
Ma al netto di ciò, fin da subito si capisce che sarà tutto uno spiegone o un’ovvietà: dall’annuncio che Sandro/Ghini ha l’alzheimer (“Pensa che sia ancora sposata con Carlo”, “No, non lo sai? Ha l’alzheimer”, “Ah, mi dispiace” – sembra che sia rotto una gamba, stessa gravità), all’incrociarsi di sguardi e allo scambiarsi di romaticherie nostalgico-sceme in rigoroso affanno espiratorio di Paolo/Accorsi e Isabella/Cucci (costei va immediatamente a piazzarsi nel novero delle Cagnae Maximae di tutta la storia del Cinema, geniale nel suo buttar fuori 90 ettolitri d’aria dopo la vocale finale di ogni sua battuta), il film sembra un carosello di schemi e stereotipi esagerati, marchiati da una certa presunzione autoriale di commedia/dramma all’italiana.
Quando poi il gruppo viene costretto sull’isola, Muccino spinge incommensurabilmente sul pedale del Trash: anzitutto, si creano frammenti clamorosi di non-sense ridondante (i parenti cantano canzoni vetustissime al pianoforte, per sin troppi secondi e troppi momenti; Sara/Impacciatore canta/stona A te di Jovanotti a voce altissima, di notte, all’interno di una pensione dove si suppone ci siano un sacco di persone che stanno dormendo, e ce le fanno vedere per almeno 30-40 secondi; in 20 secondi di pellicola, si inquadrano 7-8 personaggi diversi che ripetono tutti “Andiamo a cena”, o la variante “Andiamo a cena?”); ma, soprattutto, il nostro decide di creare una sottospecie di piano-sequenza infarcito di urla ed isteria casuale, scatenato nientepopodimeno dal fatto che Ginevra/Crescentini osa dire “questi giovani d’oggi sono un po’ rincoglioniti” perché la figlia sedicenne del suo neo-marito Carlo/Favino c’ha il migliore amico da due anni e non ci ha mai fatto sesso (devo dire che è una delle poche osservazioni sensate dell’intera pellicola), il quale culmina in un tentativo di omicidio goffissimo e maldestro al grido di “Hai rotto il cazzo”.
Tutti i personaggi contribuiscono significativamente a creare questo abnorme melting-pot di Trash: Maria/Milo parla come un robot gallina e ha un momento di depressione casuale quando si rende conto che due dei suoi fratelli sono morti; Sandro/Ghini, essendo malato di Alzheimer, viene utilizzato per creare momenti comici rivoluzionari nei quali (pensate!) prende fischi per fiaschi; Arianna/Falco appare cinque secondi, e ci ricorda tutte le qualità che in 1992 l’hanno resa famosa; Pietro/Marescotti appare circa tre minuti in tutto il film (è il padre, una figura secondarissima proprio) per dire solo “cazzo”, ” o la clamorosa “a me la famiglia sta pure sul cazzo”; Luana/Michelini e Riccardo/Tognazzi avrebbero forse una loro dignità, ma lo scatto di nervi random ed esageratissimo di lei sul finale e le barzellette sconcio-Berlusconiane di lui li rimettono subito al pari degli altri; Alba/Sandrelli ha il suo momento di gloria come fil rouge del piano-sequenza Trash (durante il quale interagisce un po’ con tutti e un po’ con nessuno, al grido di “ma che succede?”, “ma perché urlate tutti?”, “non fare così” e un paio di piantini random), per poi ritrovarsi solamente nella scena con la figlia Sara, alla quale rivela un segreto-stereotipo femminile che Ventennio Fascista levati (“noi donne siamo nate per sopportare: tuo padre mi tradiva, ma poi tornava da me”) per concludere con un meraviglioso “non bere troppo” (mentre la figlia tracanna un calice di rosso impugnandolo come una cazzuola).
I veri capolavori, tuttavia, nonché i momenti più elevati del melting-pot, sono quelli rappresentati dalle coppie: Ginevra/Crescentini sospetta che qualunque cosa il marito Carlo/Favino faccia sia finalizzata ad abbandonarla (e ho già detto del tentato omicidio), quindi urla come un’isterica ad ogni passo del marito che non sia all’interno di un cerchio di raggio 30cm da lei; Beatrice/Gerini è talmente esasperata dall’alzheimer di Sandro/Ghini da tramutarsi in un frullatore con gli occhi spippati, che ripete ossessivamente “non ce la faccio più!”; e, apoteosi delle apoteosi, la palese infatuazione (che ci si era rivelata fin dal primo nanosecondo di pellicola) tra Paolo/Accorsi e Isabella/Cucci evolve in una sequenza surreale, dove i due prima si baciano come adolescenti scemi (lei, addirittura, fa finta resistenza, tirandogli uno schiaffo e dicendogli “tu sei pericoloso” – per poi emettere i famosi 90 ettolitri d’aria), poi si infrattano in una nave ancorata nel porto al grido di “questa ti porta sull’isola che non c’è” e “signorsì, capitano!” (l’abbiamo capito che i due sono sognatori, secondo voi?), poi scopano mentre si dicono frasi prese dalle foto di culi di Tumblr o Instagram – il tutto per ritrovarsi divisi a causa del fatto che la figlia di lei li scopre, e inizia pestare i piedi, urlare e sentirsi oltraggiata dall’idea che la madre abbia l’amante.
Ma il momento in cui ho capito, finalmente, con nuovi occhi e nuova predisposizione mentale, la vera direzione in cui Gabriele Muccino si è lanciato, è stato il finale. Quando i parenti se ne vanno, finalmente, dall’isola, c’è un nuovo shock: la vicenda si fa super-seria, drammatica, riflessiva. Anticipata dalle uniche due scene decenti della pellicola (quella tra Ghini e la Solarino sulla fede perduta, e quella tra Favino e la Solarino sul loro rapporto ormai concluso – scene che fanno di Elettra/Solarino il miglior personaggio dell’intera storia, ma di leghe proprio), la svolta è tuttavia sconvolgente: mentre Luana e Riccardo se ne vanno alla chetichella, la storia d’amore dei sognatori sembra avere una battuta d’arresto, Carlo e Ginevra paiono ai ferri cortissimi, Sara sembra aver accettato il fatto di dover ingoiare rospi tutta la vita perché Diego le mette le corna a ripetizione, e Sandro ha detto a Beatrice di metterlo in una casa di cura.
Ed ecco, improvvisa, la zampata dell’Autore: la storia d’amore dei sognatori si ripristina grazie al bellissimo dialogo “Allora ci sentiamo, sempre se ti va”, “A me va tantissimo, Isabella!”, per culminare in un “anche se non ti conosco, sento già che ti amo” inviato per messaggio (ricordiamolo: questi sono due quarantenni, non due quattordicenni in preda agli ormoni); Ginevra, dopo aver temuto di essere abbandonata per tutto il film da Carlo, rivela dal nulla che sono mesi che gli fa le corna e che chiederà il divorzio; Sara dice a Diego (che sta per andare a Parigi dall’amante) che andrà con lui a Parigi, praticamente a rovinargli la festa; Sandro si scorda di aver detto a Beatrice di metterlo in casa di cura, e i due si baciano. Ogni possibile profondità di sguardo è annullata, o meglio: è completamente ri-direzionata verso un’ottica di assoluto e cacofonico non-finito finto-surrealista pseudo-realistico.
Ecco, dunque, che cosa sta facendo davvero Gabriele Muccino, signori: non si è bollito come tutti credevamo, no, bensì sta cercando di portare una ventata autoriale nel Trash cinematografico del nostro Belpaese. È una nuova direzione, insomma: e per chi, come me, adora il genere, questa non può che essere una grandiosa notizia.
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Signorsì, capitano!