LO SCONTRO
Nuovo Vs. per il Cinemalato, e questa volta si tratta del più classico dei Derby: 2 diverse versioni dello stesso film salgono sul ring, per dimostrare a suon di finte, jab e montanti chi sia la migliore! E parliamo di una delle storie più rappresentate di sempre al Cinema (ben 4 versioni, tra muto e sonoro), ovverosia Il Grande Gatsby, famosissimo romanzo di Francis Scott Fitzgerald. All’angolo rosso abbiamo la versione più famosa, che pure non è l’originale, ovvero quella del 1974, diretta da Jack Clayton (su sceneggiatura di Francis Ford Coppola); all’angolo blu, invece, la versione più recente, pellicola d’apertura del Festival di Cannes 2013, diretta da Baz Luhrmann (Romeo + Juliet, Moulin Rouge!, Australia). Chi la spunterà?
Partiamo dallo stile e dal ritmo, e subito saltano all’occhio notevoli differenze. Il Gatsby del 1974 è diretto da Clayton con incredibile distacco formale, presentandosi come un film classicheggiante e inamidato nella prima parte (quella delle grandi feste di casa Gatsby), che acquista un briciolo di intensità in più (e di “sporcizia”) nel tragico finale ricco di plot-point e twist, chiudendosi con un altro ingessato incontro tra Nick, sua cugina Daisy e suo marito Tom, che però acquista grande cinismo data l’evoluzione che ha subito la storia con la morte di Gatsby e il suo desolante funerale. Su quel funerale termina invece la narrazione della versione 2013, con Luhrmann che chiude su un monologo di incoraggiamento alla speranza nei sogni, alla determinazione nel realizzarli anche contro ostacoli insormontabili; il regista di Moulin Rouge! rimane quindi su toni meno pessimisti, per quanto non meno intensi (anzi!), in perfetta linea con le sue scelte “stilistiche”, improntate ad una colorata vorticosità e ritmo serrato delle scene (soprattutto negli animatissimi Party di Gatsby), che determinano un’atmosfera più passionale e vagheggiata.
Queste diverse scelte sono alla base anche della direzione degli attori, decisamente freddi e glaciali nella versione di Clayton, passionali e fragili in quella del 2013. Entrambe gli “indirizzi” sono stati criticati: il primo, perché fa risultare asettica e noiosa la vicenda, togliendo spessore ai personaggi principali e congelandone le emozioni (critica su cui concordo alla grande: la prima ora e un quarto è quasi completamente da buttare, da tanto è insignificante); il secondo è stato criticato perchè ricorda troppo Moulin Rouge!, togliendo cinismo e spietatezza alla narrazione Fitzgeraldiana. Questa è una critica che trovo onestamente sterile, per due motivi: 1) perchè come già detto con Moonrise Kingdom, la reiterazione di stilemi da parte di un regista (quando non porti alla copia-conforme) è sempre ben accetta; 2) perchè un adattamento può (e deve) anche prescindere dall’Opera scritta, dunque non è obbligatorio utilizzare gli stessi toni di Francis Scott.
Per lo stesso motivo fatico a comprendere le critiche alla sceneggiatura, a quanto sembra troppo incentrata sull’Amore fra i due protagonisti e poco sulla disillusa e dissacrante descrizione del Sogno Americano e della società U.S.A. degli anni ruggenti, presente nel cartaceo originale: 1) perchè trovo che comunque emerga un minimo una critica alla morale bacchettona della borghesia (odio razziale immotivato, diffidenza e astio verso gli “arricchiti”, facciata di moralismo che nasconde esistenza dissolute e libertine…) 2) perchè, nuovamente, mica è necessario seguire per forza tutti i percorsi tematici dello scrittore! Semmai, per fare un piccolo plauso alla versione del ’74, nella recente trasposizione mancano di spessore i personaggi di Myrtle (l’amante di Tom) e suo marito George, ridotti a macchiette utili solo per l’evoluzione della trama in senso tragico: nell’adattamento di Jack Clayton e Ford Coppola, invece, Myrtle è decisamente meno “bagascia” e più “umana”, pervasa di una desolante disperazione che attanaglia anche il povero George, cornuto e innamoratissimo, che sente il peso della sua condizione di “povero” (condizione che genere l’odio della moglie nei suoi confronti), e che dopo l’incidente sente venire meno la sua fiducia in un Dio che vede tutto, e commette un gesto che egli stesso sente come profondamente inutile.
E ancora: la colonna sonora. Il film con Redford e Farrow è classico e pulito anche in questo: commento sonoro standardizzato, musica anni ’30 per le feste, musica “hollywoodiana” per i momenti di tensione, di romanticismo, di tristezza (ai limiti del ridicolo, quando ogni apparizione del meccanico-killer George è sottolineata dal classico “zan-zan-zan” di violini). Niente di particolarmente sbagliato, ma al contempo nessun azzardo. Non vedo invece perchè criticare la scelta Luhrmanniana di inserire musica moderna (House, Hip-Hop…) all’interno dei party di Gatsby, dal momento che questo non solo dona maggior “attualità” alla pellicola, ma al contempo garantisce quel ritmo vorticoso e frenetico che alleggerisce sequenze pesantissime nella precedente versione, stupendo con il suo straniante che ben evidenzia la spensierata (e “sconsiderata”) gaiezza dei 30’s Made In U.S.A.: se poi si vuole nuovamente tirare fuori la carta “non era nello stile/intenzione/penna di Fitzgerald”, sapete già come la penso.
Passiamo agli attori. La vicenda è talmente densa di personaggi che mi sembra doveroso effettuare una serie di singoli scontri diretti.
Robert Redford Vs Leonardo DiCaprio(Gatsby): Il buon Roberto è un attore che ha sempre fatto il suo, ma qui parte svantaggiato dal fatto di essere stato diretto in maniera leccata e ingessata, perdendo di pathos e potenza emotiva. DiCaprio vincerebbe già per questo, probabilmente: aggiungeteci che è un ottimo attore, che in questa Stagione (insieme a Django Unchained) ha trovato una doppietta da Annali, che il “suo” Gatsby potrebbe seriamente essere l’apice della sua carriera attoriale e capirete perchè questo scontro si chiuda con uno schiacciante 2.
Mia Farrow Vs Carey Mulligan (Daisy): Mia Farrow è molto più brava nell’evidenziare il lato civettuolo e sciocco della bionda Daisy, la Mulligan è (ovviamente) più forte nei passaggi drammatici che non in quelli più prettamente leziosi. Entrambi i registi, qui, hanno scelto bene, visto che la Daisy del ’74 è caratterizzata (come personaggio) da un umore sempre in bilico fra eccessiva gaiezza e disperazione amorosa, mentre quella del 2013 è più passionale e “tragica”. Un bel pareggio stavolta X.
Sam Waterston Vs Tobey Maguire (Nick): Nick è, sostanzialmente, il narratore. Sì, d’accordo, la sua amicizia con Gatsby lo spinge a rivalutare la società Americana, la maschera ipocrita di perbenismo, eccetera… Però è un personaggio difficile da rendere, data l’assenza di un vero carattere da incarnare, di un vero valore di cui egli si faccia portatore. E a dargli un minimo di spessore, quel “quid” che lo facesse empatizzare con lo spettatore (perchè alla fine Nick è anche, un po’, lo spettatore in sè) è stato Mr.Spiderman, Tobey Maguire, perciò 2.
Bruce Dern Vs Joel Edgerton (Tom): Altro pareggio. Edgerton in realtà è un po’ più bravo, poichè più spudoratamente schifoso e virilmente pomposo, ma contando che Dern aveva l’handicap della regia-imbalsamatrice di Clayton, direi proprio che se l’è cavata egregiamente. X.
Lois Chilles Vs Elizabeth Debicki (Jordan): Qui c’è ancora meno gara che su Gatsby. Ho capito che Jordan dovrebbe essere la golfista infida e glaciale (incarnazione della società borghese?), ma la Chilles è monoespressiva, e ha la presenza scenica di un tonno in scatola. Al contrario, pur alle prese con un personaggio tanto algido, sorprende la pressochè debuttante Debicki (al suo 2° film), che riesce a renderne alla perfezione l’ambiguità e l’aura di fascino che emana da ogni poro. 2.
Karen Black Vs Isla Fisher (Myrtle): Ahahahahah, che scontro impari! Una delle più grandi attrici degli anni ’70 contro quella di I Love Shopping. Secondo voi come potrebbe mai andare a finire? Da un lato una Myrtle umana, disperata, avvilita dalla sua vita da pezzente, che da sola anima più il film di Gatsby e Daisy messi insieme: dall’altro una sgualdrina di basso borgo, vestita in modo eccessivo, che fa smorfiette con il naso. 1.
Scott Wilson Vs Jason Clarke (George): Probabilmente qui incide parecchio la differente caratterizzazione dei due personaggi nelle due vicende. Ad ogni modo, il George Wilson di Wilson (buffo, no?! No? Uffa) è meravigliosamente e tragicamente un microbo in una società di scintillanti e giganti ricconi, mentre Clarke ne incarna una versione più “ritardata” e più “spietata”, anche nel tragico atto finale. Per la seconda volta il risultato è 1.
IL VERDETTO
Il verdetto dunque vede in leggero vantaggio sul campo “cast” la versione 2013, mentre la “74ana” (per dirla con termini Manzoniani) vince di poco alla voce “caratterizzazione dei personaggi”. Tuttavia lo stile di Baz Luhrmann (perchè di stile si parla e si dovrebbe parlare, invece di voler esagerare la storia dell’eccesso e del “troppo-stroppia”, inevitabili quando ci si trova davanti a tale regista) dona alla vicenda un ritmo e un’intensità travolgenti ed emozionanti. Forse è ridondante, forse Il Grande Gatsby non era questo nelle idee e nella fantasia di Fitzgerald, forse si presenta troppo frivolo e superficiale (ma dove, poi?) per un tale soggetto: intanto, comunque, si porta a casa lo scontro frontale con il suo predecessore. Complimenti!
“LOCANDIMETRO”
IL VINCITORE