Premi Oscar 2018

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Eccoci giunti al momento di maggior rilevanza mediatica nell’annata cinematografica: i Premi Oscar, statuette dal più che dubbio valore meritocratico ma dall’altrettanto indubbio potere suggestivo e fascino intramontabile: chiunque abbia a che fare con il mondo del Cinema (o anche chi sogna di averci a che fare) non può rimanere impassibile di fronte all’ormai storica premiazione, giunta alla sua 90esima edizione. Ecco dunque il mio personalissimo commento (relativo alle 8 categorie principali) sulla cerimonia svoltasi ad Hollywood durante la notte tra Domenica e Lunedì – come sempre, cliccando sul nome del film verrete re-indirizzati alla mia personalissima recensione, ove disponibile.

LEGENDA

GRASSETTO: Vincitore.

SOTTOLINEATO: Vincitore nella mia modestissima opinione.

ROSSO: Nome che avrei selezionato per la cinquina.

MIGLIOR SCENEGGIATURA NON ORIGINALE

Scott Frank, James Mangold e Michael Green (Logan – The Wolverine)

James Ivory (Chiamami Col Tuo Nome)

Scott Neustadter e Michael H. Weber (The Disaster Artist)

Dee Rees e Virgil Williams (Mudbound)

Aaron Sorkin (Molly’s Game)

È una sensazione dolce-amara quella che provo di fronte all’Oscar conquistato da James Ivory. Il “ragazzo” è uno dei miei favoritissimi di sempre, specie dopo la visione di Camera Con Vista e del filmone Quel Che Resta Del Giorno (per chi scrive, il più bel film sentimentale di sempre), eppure la sua Arte si manifesta soprattutto in campo registico, e non in quello compositivo: aggiungete il fatto che lo script di Chiamami Col Tuo Nome è decisamente troppo lento e indulgente nella prima parte, per poi finalmente accendersi solo sul finale (dove, però, presenta comunque un paio di “scivolini”), capirete che non mi trovo particolarmente d’accordo con questa statuetta. Non posso indicare un favorito, in quanto non ho visto ben tre dei candidati, ma sulla fiducia mi viene da azzardare l’ennesimo capolavoro scrittorio di Aaron Sorkin (l’uomo che ha vinto solo un Oscar per The Social Network, quando se lo sarebbe meritato almeno in altre due occasioni).

MIGLIOR SCENEGGIATURA ORIGINALE

Guillermo del Toro e Vanessa Taylor (La Forma Dell’Acqua – The Shape Of Water)

Greta Gerwig (Lady Bird)

Emily V. Gordon e Kumail Nanjiani (The Big Sick – Il Matrimonio Si Può Evitare… L’Amore No)

Martin McDonagh (Tre Manifesti A Ebbing, Missouri)

Jordan Peele (Scappa – Get Out)

A differenza di molti, non sono un detrattore del lavoro di Jordan Peele: Scappa – Get Out è, a mio avviso, uno degli horror/thriller più interessanti degli ultimi anni, con un’originale prospettiva (soprattutto poco moralistica) sul confronto razziale. È altrettanto indubbio, però, che il soggetto sia più forte dell’effettiva sceneggiatura, la quale presenta un paio di passaggi a vuoto ed un finale esageratamente affrettato. Tre Manifesti A Ebbing, Missouri è un ottimo saggio di scrittura (sia a livello di personaggi che come caratterizzazione socio-ambientale), e avrei decisamente preferito assegnare la statuetta a Martin McDonagh.

MIGLIOR ATTRICE NON PROTAGONISTA

Mary J. Blige (Mudbound)

Allison Janney (Tonya)

Lesley Manville (Il Filo Nascosto)

Laurie Metcalf (Lady Bird)

Octavia Spencer (La Forma Dell’Acqua – The Shape Of Water)

Una volta di più mi trovo costretto a sospendere il giudizio: non ho visionato la prova della vincitrice (il film, del resto, non è ancora uscito in Italia), né quella di altre tre candidate. Sono contento che la Janney (meravigliosa in Juno, nei panni della matrigna della protagonista) si sia portata a casa un riconoscimento, e in generale sono molto curioso di vedere questo Tonya – un sesto senso mi dice che potrebbe trattarsi della mia grande sorpresa Stagionale. Se mi è concesso un appunto, tuttavia, mi dispiace che non siano state nominate né Oona Laurence per L’Inganno, né Ana De Armas per Blade Runner 2049.

MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA

Willem Dafoe (Un Sogno Chiamato Florida)

Woody Harrelson (Tre Manifesti A Ebbing, Missouri)

Richard Jenkins (La Forma Dell’Acqua – The Shape Of Water)

Christopher Plummer (Tutti I Soldi Del Mondo)

Sam Rockwell (Tre Manifesti A Ebbing, Missouri)

Qui proprio non ci siamo. Rockwell è un onesto attore, e la sua performance è tutto fuorché scarsa, ma non capisco proprio questo premio: di fronte a due personaggi molto meno appariscenti, cullati sotto le righe dalle performance di Richard Jenkins e Woody Harrelson, premiare un’interpretazione veramente molto similare a quella di Christian Bale in The Fighter (e già quella statuetta non fu necessariamente meritata) mi lascia perplesso. So che a Hollywood le interpretazioni sopra le righe vanno per la maggiore, ma per me non c’erano proprio paragoni.

MIGLIOR ATTRICE PROTAGONISTA

Sally Hawkins (La Forma Dell’Acqua – The Shape Of Water)

Frances McDormand (Tre Manifesti A Ebbing, Missouri)

Margot Robbie (Tonya)

Saoirse Ronan (Lady Bird)

Meryl Streep (The Post)

Altra vittoria di cui sono ben poco contento. Rifletteteci un attimo: vi pare possibile che Frances McDormand (una che in quanto a versatilità non è esattamente superlativa) abbia due Oscar a casa? Ma al netto di simili considerazioni, che lasciano il tempo che trovano, siamo nuovamente di fronte ad un caso di performance molto “derivativa”: e qui non si tratta di recuperare da un altro attore, bensì di interpretare un personaggio molto similare a quello che già ci ha fatti trionfare nel lontano 1997 (Fargo), e di interpretarlo in maniera molto similare (con sardonica asprezza). Aggiungete che Sally Hawkins ne La Forma Dell’Acqua – The Shape Of Water è magistrale, e che (sono convinto) le performance di Saoirse Ronan e Margot Robbie mi daranno molto di cui plaudire, che avrei indubbiamente nominato la schizofrenica Noomi Rapace di Seven Sisters o la possente Trine Dyrholm di Nico, 1988 (anche se mi rendo conto che è molto difficile vedere nominato un attore per un film non prodotto in USA, Australia o UK), e capirete come mai questo è forse il premio che mi ha lasciato più insoddisfatto dell’intera serata.

MIGLIOR ATTORE PROTAGONISTA

Timothée Chalamet (Chiamami Col Tuo Nome)

Daniel Day-Lewis (Il Filo Nascosto)

Daniel Kaluuya (Scappa – Get Out)

Gary Oldman (L’Ora Più Buia)

Denzel Washington (Roman J. Israel, Esq.)

Non ho visto Daniel Day-Lewis, premetto: e Day-Lewis (per quanto non sia da me troppo amato, “soggettivamente”) può sempre sparigliare le carte in tavola. Detto questo, voglio rischiare: oso dire che Gary Oldman abbia vinto con merito questa statuetta. Più che altro perché il nostro, ne L’Ora Più Buia, si è prodotto in una squisita performance british del buon Winston Churchill, perfettamente in equilibrio tra sopra e sotto le righe: considerando, poi, una strepitosa carriera che ha fruttato solamente due (due!) nomination da parte dell’Academy, mi sembra che i presupposti ci siano tutti.

MIGLIOR REGIA

Paul Thomas Anderson (Il Filo Nascosto)

Guillermo Del Toro (La Forma Dell’Acqua – The Shape Of Water)

Greta Gerwig (Lady Bird)

Christopher Nolan (Dunkirk)

Jordan Peele (Scappa – Get Out)

Sono molto contento per la vittoria (duplice) di Del Toro: come già detto nella mia recensione di La Forma Dell’Acqua – The Shape Of Water, il suo passato cinematografico basta da solo ad inserirlo nella mia personale cerchia dei favoritissimi. Oltre a questo, il suo trionfo va a scapito di Paul Thomas Anderson (che ho sempre trovato estremamente sopravvalutato) e di Christopher Nolan (che, come saprete tutti, ritengo Dio, ma che con Dunkirk confeziona, purtroppo, un film assolutamente minore nella sua personale storia cinematografica). Sono, semmai, deluso per un altro motivo: dalla cinquina sono infatti rimasti esclusi sia la tensiva morbidezza di Sofia Coppola nel dirigere L’Inganno, sia (soprattutto!) colui che avrebbe dovuto davvero vincere il premio, ovvero Denis Villeneuve per il suo clamoroso Blade Runner 2049.

MIGLIOR FILM

Chiamami Col Tuo Nome

Dunkirk

Il Filo Nascosto

La Forma Dell’Acqua – The Shape Of Water

Lady Bird

L’Ora Più Buia

The Post

Scappa – Get Out

Tre Manifesti A Ebbing, Missouri

Il film di Del Toro si porta a casa (come già anticipato) anche il premio per la miglior pellicola. Di nuovo, mi trovo molto triste nel vedere che il poderoso Blade Runner 2049 non sia nemmeno stato nominato (a pensare che Villeneuve si prese doppia nomina per quella mezza ciofeca di Arrival, un anno fa…), ma sono comunque soddisfatto per Guillermone: la sua ultima opera è stata accusata, con un’esagerazione a dir poco disumana, di plagio – il tutto perché, in un corto di tre anni fa, si parla di una donna che fa le pulizie e salva un uomo-pesce da un laboratorio (poco importa che nel suddetto corto il mondo sia post-apocalittico e non surreale, che la protagonista non sia muta, che l’acqua non abbia alcuna importanza, che non ci siano i personaggi di Jenkins, Spencer e Shannon…). Sarei stato contento anche di un’eventuale vittoria di Tre Manifesti A Ebbing – Missouri, ma La Forma Dell’Acqua – The Shape Of Water è fiaba di rara preziosità, il che è raro in un genere talmente abusato da produrre spesso blandi risultati privi di forza. E per questo brindo a Guillermo, ai mostri marini, alla bellezza dell’Amore e all’Academy per la saggia decisione.

Questo è tutto: alla prossima edizione!

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Blade Runner 2049 (2017)

Nel 2049 i replicanti si sono ormai integrati nella società umana, ma ciononostante persistono azioni da parte di nexus ribelli, puntualmente represse dai replicanti di ultima generazione. Durante un’azione di polizia, però, il replicante K scopre, involontariamente, i resti di una vecchia replicante femmina, a quanto pare defunta a seguito delle conseguenze di un parto. Bisogna indagare, e al più presto: chissà cosa accadrebbe, se si venisse a sapere che i replicanti possono partorire esattamente come gli umani…

Scorsa Stagione ho recensito il mio primissimo film di Denis Villeneuve, tale Arrival: avevo fin d’allora notato come il ragazzo possedesse un talento visivo davvero notevole, messo purtroppo al servizio di una storia tanto interessante come spunto, quanto povera nell’effettiva realizzazione narrativa. Capirete dunque la mia perplessità non solo di fronte alla messe di nomination agli Oscar che suddetto film ebbe, ma soprattutto venendo a sapere che il buon Villeneuve avrebbe diretto il sequel di Blade Runner (volenti o nolenti, uno dei pilastri assoluti della Fantascienza cinematografica, direttamente dal 1982).

Eppure è accaduto ciò che mi auspicavo succedesse: Villeneuve ha dato briglia sciolta al suo estro visivo, riuscendo inoltre stavolta a trovare una storia sufficientemente efficace (e, soprattutto, dotato di un buon ritmo) per non vanificare il risultato finale.

Ecco dunque Blade Runner 2049, la prova registica dell’anno (e, sicuramente, da top3 del decennio in corso). Qui il funambolico cervello del regista crea dipinti tecnologici in movimento, vere e proprie sequenze di incanto assoluto e perfezione grafica: e non sono, come uno potrebbe temere, inutili messe in mostra di sé, specchietti per le allodole atti a deviare l’attenzione rispetto ad una storia vacua, ma diventano parte integrante della riflessione ontologica-antropologica che sta alla base del film (si veda la meravigliosa scena del parto androide, oppure la sequenza che metto in MOVIEQUOTE).

Perché se la tematica non è poi tanto diversa dall’originale, lo script di Hampton Fancher e Michael Green possiede – a mio avviso – il merito di dare un tono più “umano” e meno epico ai personaggi e alle loro emozioni: la cinica rassegnazione di Deckard, l’ingenua tristezza di Stelline, la sconfinata dolcezza di Joi (la più umana tra le forme di vita artificiale), il lento insorgere di un’emozione nel cuore di K, persino la rabbia fredda di Luv, sono frammenti di umanità nudi e crudi, resi peraltro benissimo da un cast di attori in stupenda forma (su tutti la straordinaria Joi-Ana De Armas). E quando sbuca Sean Young, così dannatamente bella e triste come nell’originale, non può non scattare il brivido lungo la schiena.

Se proprio si deve trovare un piccolo difetto a questo film (e non è certamente la mancanza di ritmo, come alcuni denunciano: difficilmente un film di quasi 3 ore mi è passato tanto velocemente) è l’assenza di un cattivo che sia davvero pericoloso: nell’originale, la prospettiva era curiosamente “ribaltata”, dato che il cacciatore era il protagonista: qui il villain sarebbe il personaggio di Jared Leto, Niander Wallace, che ad onor del vero rimane un po’ sbiadito a livello di intenzioni e personalità, e anche a livello estetico – unico caso in tutto il film – sembra cedere ad una logica cyberpunk-orientalistica-fighetta per accattivarsi certo pubblico giovane e radical-chic.

Al netto, dunque, di alcune imperfezioni di script, e indubbiamente di una certa lunghezza (che, sinceramente, poteva essere lievemente scorciata, almeno di una quindicina di minuti), Blade Runner 2049 è un film coinvolgente, emozionante, con una creatività ed un ritmo registico impressionanti, da cineteca. Fatevi un favore: non date retta agli assurdi dati del botteghino (il film è stato un flop colossale: impensabile, considerando che il regista è conosciuto, che Blade Runner è un cult, e che Gosling e Leto sono due tra gli attori più quotati di Hollywood), e regalatevi questa meraviglia per occhi e cuore il prima possibile. Siate umani.

 “LOCANDIMETRO”

MOVIEQUOTE