Classifica Stagionale 2014/2015: TOP20 – Il Podio (3-1)

Ed ecco il momento più importante, la conclusione del Classificone Stagionale: superati gli olezzi laidi del “Fondo Del Barile” e le mediocrità della “Panca“, rifancendoci gli occhi a partire dalle prime 17 posizioni della Top20 (“Parte Bassa” e “Parte Alta“), siamo infine arrivati alla creme della creme Stagionale: il Podio Cinematografico del 2014/2015,  i 3 titoli che si sono meritati la vetta più elevata della mia personale Classifica, conquistandosi rispettivamente il bronzo, l’argento e l’oro del Cinemalato! Come sempre vi invito a leggere le recensioni, che potrete leggere semplicemente cliccando sul titolo della pellicola.

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3) Youth – La Giovinezza, di Paolo Sorrentino (2015)

Dopo l’improbabile This Must Be The Place, Paolo Sorrentino si è fortunatamente ripreso alla grande: La Grande Bellezza era poesia del complesso (risultando talvolta criptica), là dove questo Youth – La Giovinezza si fa poesia del semplice (riuscendo tuttavia ad evitare il sempre fastidioso didascalismo di certe produzioni a stelle e strisce). Complice un cast stellare, perfettamente selezionato, e la solita elegante regia del nostro autore di punta al giorno d’oggi, questa vicenda fatta di emozioni e vite che tramontano nell’inedia (non solo un tramonto biologico, ma talvolta anche mentale – si veda il personaggio di Paul Dano) coinvolge e fa pensare. Al futuro, al passato, ma soprattutto al presente: da vivere nella semplicità di una vita straordinaria, che non è mai scontata o avvilente – persino nelle difficoltà o nei momenti più oscuri (morte compresa).

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2) Mad Max – Fury Road, di George Miller (2015)

Che il sottoscritto non ami il cinema d’Azione non è certo un mistero (basti pensare che non mi sono ancora degnato di recuperare alcun film della saga di James Bond, eccezion fatta per Skyfall). Mad Max – Fury Road, tuttavia, è tutto ciò che il genere non è più da tempo, e che dovrebbe invece sempre essere: puro spettacolo di libido e adrenalina pompanti nelle vene, realizzato seguendo creatività e fantasia degne di un Meliès (che forse non a caso condivide il proprio nome con quello di George Miller), e senza dimenticare che in ogni film che si rispetti ci deve essere una trama dotata di una minima logica ed intelligenza. Il quarto capitolo della saga del furioso Max (anche se chiamarla saga è abbastanza esagerato, visto il grande/totale scollegamento dei 4 episodi l’uno rispetto all’altro) supera di gran lunga gli originali, regalando a molti sboroncelli hollywodiani (Michael Bay e “figli”) una lezione di Cinema da guardare e riguardare ad infinitum.

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1) Interstellar, di Christopher Nolan (2014)

Sapevo che Christopher non poteva farmi questo. Lo sapevo che non poteva deludermi per la seconda volta consecutiva dopo il blandissimo (ad essere generosi) Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno. Eppure non ho potuto non tremare al momento di entrare in sala per la visione di Interstellar: ma subito, il tremito di paura e tensione è stato sostituito dai brividi di emozione che l’opera #9 di Christopher “Dio” Nolan ha saputo farmi vivere. La solita sceneggiatura centellinata alla perfezione (fatta eccezione, forse, per gli ultimi 5-10 minuti un po’ “americani), la solita spettacolare regia da sapiente manovale di blockbuster, stavolta si è andata ad unire ad una tematica meno cervellotica e più emotiva, che la penna dello sceneggiatore ha saputo condensare nella perfetta parafrasi fantascientifica della dantesca L’Amor che move il sole e l’altre stelle. E se il Poeta medievale intendeva Dio con la parola “Amor”, Nolan porta invece il termine in piena epoca umanistica, nello spettacolare e quasi impossibile viaggio di un padre e di una figlia attraverso tempo, spazio, vita e morte. Ricordandoci, una volta di più, di quanto Dark Kinght Rises sia stato un inciampo isolato, e di chi sia il vero “Dio” in questo meraviglioso Interstellar.

Classifica Stagionale 2014/2015: TOP20 – Parte Alta (10-4)

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Ci stiamo avvicinando alle posizioni più importanti del Classificone, siamo ormai vicini al Podio vero e proprio. C’è da fare ancora una piccola fermata: andiamo a vedere quali film occupino la Parte Alta della Top20, le posizioni dalla #10 alla #4 (qui le posizione della scorsa Stagione). Non saranno arrivati sul podio, ma ci si sono avvicinati parecchio e per questo meritano un grande applausi. As usual, cliccando sul titolo del film troverete la mia personale recensione, quando disponibile.

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10) Hungry Hearts, di Saverio Costanzo (2014)

Costanzo prosegue il suo ottimo cammino di Figlio D’Arte Meritevole (FDAM, categoria da me inventata in cui rientrano – tra gli altri – Sofia Coppola e Jason Reitman) con un’altra pellicola potente e grottesca su una coppia e il loro piccolo neonato. Un tantino ripetitiva forse (perlomeno, la parte centrale allomba un po’), e non perfetta nella gestione dei rapporti di coppia (il marito, sull’orlo della separazione, rimane con la moglie per un altro paio di sequenze senza una vera motivazione), ma niente di così grave: bello il finale, anche se un po’ telefonato, e bravissimi gli attori.

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9) Il Racconto Dei Racconti, di Matteo Garrone (2015)

Garrone si getta in una “pazzia Italiana”, un fantasy medievaleggiante tratto dal folkloristico Cunto De Li Cunti: è un film senza una vera tematica, senza un messaggio forte, ma dall’innegabile fascino estetico e narrativo (le vicende sono perfettamente raccontate e giostrate l’una rispetto all’altra), e da ammirare per la volontà di fare qualcosa di diverso dagli usuali e “iperrealistici” canoni patrii.

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8) Boyhood, di Richard Linklater (2014)

Il grande sconfitto della notte degli Oscar. Boyhood è un film senza genere, che racconta in maniera estremamente semplice e realistica uno spaccato di vita, adottando l’intelligente escamotage di utilizzare gli stessi attori nel corso di 12 anni di riprese per ottenere un effetto ancora più realistico. “Trucchetti” a parte, la pellicola di Linklater sa effettivamente parlare un linguaggio universale e commovente, raccontando una vita comune e poeticissima nella sua ordinarietà e nella sua assenza di momenti salienti (che, appunto, appartengono al Cinema, e non alla Vita).

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7) Lo Sciacallo – Nightcrawler, di Dan Gilroy (2014)

Al suo esordio come regista, Dan Gilroy ci regala uno dei personaggi più belli ed intensi del decennio cinematografico in corso: partendo in sordina, e rivelandoci passo dopo passo i suoi tratti e le sue convinzioni, Lo Sciacallo ci parla del moderno mastro-don Gesualdo, l’arrivista Lou, interpretato da un Jake Gyllenhaal da Oscar (come lo era il Tom Hardy di Locke, film della scorsa Stagione con cui Nightcrawler condivide molto). Tra atmosfere cupe e grottesche, tra un colpo di scena e l’altro, Dan Gilroy confeziona un’opera prima da incorniciare, con pochissimi momenti piatti o noiosi.

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6) Birdman, di Alejandro Gonzalez Inarritu (2014)

Il trionfatore degli annuali Premi Oscar, che ahimè non ho avuto voglia di commentare come usualmente faccio, è sicuramente il miglior film tra tutti quelli girati da Inarritu: dotato di una sceneggiatura pressochè perfetta, animato da un cast in grado di dare anima ai bellissimi personaggi che popolano la vicenda (tra cui spiccano i quasi-dimenticati Keaton e Norton e la bellissima/tristissima Stone), giocato quasi interamente sul registro della commedia – la commedia intelligente, leggera ma intensa, divertente ma commovente, capace di far riflettere tra una risata ed un sorriso malinconico. Peccato solo per quei 20-30 minuti finali: certo non tragici, ma di una pesantezza che cozza con tutto il resto della pellicola, e troppo incentrati sul singolo personaggio rispetto al meraviglioso respiro corale che fino allora avevamo vissuto.

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5) L’Amore Bugiardo – Gone Girl, di David Fincher (2014)

La pellicola più sottovalutata e bistrattata della Stagione. Per motivazioni che davvero fatico a comprendere, L’Amore Bugiardo è stato stroncato da gran parte della critica professionale e/o amatoriale. Per quanto mi riguarda, la nuova opera di Fincher è anzitutto un grandissimo thriller dagli echi hitchcockiani, che gioca con il problema dell’identità quasi al livello del “Maestro del brivido”; in secundis, è un film che sa polemizzare con lo strapotere dei mass-media e il perbenismo/narcisismo di fondo della società moderna (usando sapientemente anche i personaggi secondari, per raggiungere tale scopo); infine, una devastante ed amara riflessione sulla vita di coppia ed i sentimenti, animata da un insolitamente efficace Ben Affleck ed una straordinaria Rosamund Pike.

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4) Foxcatcher, di Bennett Miller (2014)

Seppur non riesca a raggiungere le vette di 3 stagioni fa con la posizione #1, Bennett Miller ottiene un altro ottimo piazzamento in casa Cinemalato. Lo fa con un’altra pellicola sul mondo dello sport, granitica e commovente, ma dalle tinte più fosche e meno romantiche del precedente L’Arte Di Vincere – in parallelo con il passaggio dai “perdenti” ai “sottomessi”. Come in un lento gorgo grigio, Foxcatcher cattura lo spettatore quasi in sordina, senza dare grandi scossoni, ma raccontandoci di due esistenze tristi e desolanti, che neppure nell’incontro dell’una con l’altra sapranno trovare la pace e la realizzazione di sé.

Classifica Stagionale 2014/2015: Il Fondo Del Barile + La Panca

E così anche quest’anno è arrivata la personalissima, opinabilissima, Levissima Classifica Stagionale del Cinemalato! Come dovreste ormai sapere, i film presi in considerazione non si riferiscono all’anno di produzione, quanto a quello di distribuzione nelle sale italiane: a contendersi i posti in classifica saranno dunque tutte le pellicole uscite nel periodo compreso fra l’1 Agosto 2014 ed il 31 Luglio 2015 che il sottoscritto è riuscito a visionare.

Genericamente, 5 sono le sezioni di cui si compone la classifica: ecco un rapido recap, per quelli di voi che non rimembrano.

Si parte con “Il Fondo Del Barile”, ovvero tutti i film che non hanno raggiunto la sufficienza nella valutazione (da 2/5 in giù); si prosegue con “La Panca”, ovvero quelle pellicole che hanno raggiunto almeno la sufficienza (2,5/5), ma non hanno preso abbastanza da entrare in TOP20; si passa poi alla TOP20 vera e propria, suddivisa in “Parte Bassa (20-11)“, “Parte Alta (10-4)“,  ed infine “Il Podio (3-1)“.

Tuttavia, questa Stagione è stata tanto povera di titoli interessanti, che il vostro affezionato critico amatoriale è riuscito a visionare solo 28 pellicole. Dunque ci sarà una piccola modifica: il primo appuntamento non sarà quello canonico (ovvero quello con i flop, le grosse delusioni, gli orrori), ma vedrà una compressione di “Fondo Del Barile” e “Panca”. Questo per un semplice motivo: eliminando i titoli della top20, sarebbero rimasti fuori solo 8 titoli; di questi, ben 6 facevano parte del “Fondo”, dunque la “Panca” avrebbe previsto la suprema quantità di 2 pellicole, e mi sembrerebbe di sprecare un post per un gruppo così poco numeroso.

Ad ogni modo, la regola suprema rimane intatta: come tutti gli anni, “Il Fondo Del Barile” e “La Panca” saranno elencati in ordine alfabetico, e non classificati (potrete comunque distinguere tra i due gruppi: i titoli del “Fondo” hanno il nome del regista colorati di grigio, quelli della “Panca” in violetto) ma semplicemente per ordine alfabetico. Cliccando sul titolo potrete leggere la recensione relativa alla pellicola, quando disponibile.

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American Sniper, di Clint Eastwood (2014)

Il buon Clint prosegue imperterrito nel suo cammino discendente. Lo so che ad una leggenda come Eastwood, un calo alla veneranda età di 85 anni lo si dovrebbe anche concedere: ma quando penso ai filmoni girati in passato da quest’uomo, alla sue trame tanto solide quanto emozionanti, ai suoi personaggi scritti e scavati nel marmo, alla sua sapiente e classica regia, mi si forma un discreto groppo in gola al vederlo realizzare filmetti di semolino riscaldato, animati da personaggi macchietta (J.Edgar/Invictus) o impossibili da penetrare/empatizzare (Sniper, per l’appunto). Speriamo nel miracolo, o nel ritiro.

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Annabelle, di John R. Leonetti (2014)

Tra i primi film visti questa Stagione, Annabelle avrà anche dalla sua i produttori de L’Evocazione, ma manca totalmente l’intelligenza, la raffinatezza, l’efficacia horror di quello che dovrebbe essere il suo predecessore (del quale, al contrario, si è impossessato esclusivamente per quanto riguarda il personaggio della bambola, rendendola uno stupidissimo canale d’ingresso per presenze demoniache). “Anabellamerda”, com’è stato definito da qualcuno – con molta più efficacia ed intelligenza del film stesso, probabilmente il peggiore visto in questa Stagione.

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Big Eyes, di Tim Burton (2014)

A proposito di registi in picchiata totale, Tim Burton non fa – ahimè – eccezione. Certo, Big Eyes è già superiore ad Alice In Wonderland e Dark Shadow, ma non è che ci volesse poi molto: e se alcuni spunti potrebbero anche essere interessanti, l’atmosfera realistica, la trama a tratti affrettata e i personaggi macchietta rovinano ogni potenziale. Lana Del Rey, se non altro, ci regala un’altra bella canzone con la title-track della OST: magra consolazione.

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The Giver – Il Mondo Di Jonas, di Phillip Noyce (2014)

The Giver – Il Mondo Di Jonas vince a mani basse il premio di “film peggio strutturato dell’anno”. Partendo da un interessante spunto di base, gli sceneggiatori sputtanano ogni potenziale del suddetto spunto, limitandosi a stiracchiarlo: il risultato è un film con buchi di trama pazzeschi, forzature micidiali e frettolosità immotivata. Che, combinato con le visioni-lezioni di Jonas (il trionfo del perbenismo e del radical-chic in HD, con Nelson Mandela che si alterna a tigri del Bengala come se non ci fosse un domani ad indicarci le bellezze del mondo), rende il tutto un discreto flop.

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Jupiter – Il Destino Dell’Universo , di Andy & Lana Wachowski (2015)

Già il Matrix numero 2, all’epoca, mi aveva mostrato un gigantesco passo indietro rispetto all’ormai cult capostipite, ma i fratelli Andy & Lana fanno anche di peggio: Jupiter è imbarazzante, da tanto è scritto con noncuranza, superficialità e confusione. La protagonista non ha una personalità chiara nè un obiettivo definito; la sua relazione con il lupacchiotto-Channing Tatum imbarazzante (e perchè mal sviluppata, e perchè ormai qualsiasi lupacchiotto mannaro mi rimembra Twilight); e la successione delle vicende e dei cattivi è ben poco felice (basti vedere la pateticamente facile risoluzione della seconda battaglia, poco prima del matrimonio di Jupiter). Insomma, un pastrocchio scritto con i piedi, a cui non basta l’impianto tecnico e il buon cast per redimersi.

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Mia Madre, di Nanni Moretti (2015)

Il buon Nanni nazionale, come altri registi già citati, prosegue il suo declino: dopo Habemus Papam, un’altra pellicola francamente evitabile. Là dove il film con Piccoli aveva un’idea originale male impegnata (soprattutto nel finale), qua abbiamo un’idea di fondo banalissima che a tratti rende (soprattutto grazie alla straordinaria Nonna di Giulia Lazzarini), a lunghissimi tratti annoia o lascia perplessi (il personaggio di Nanni Moretti fa davvero fatica a farsi apprezzare nell’economia del film).

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Sin City – Una Donna Per Cui Uccidere, di Frank Miller & Robert Rodriguez (2014)

Là dove il prequel del 2005 aveva una certa originalità visiva, accompagnata da una trama che (almeno per 2/3) possedeva un’ottima struttura e dei grandiosi personaggi da insta-cult, Sin City – Una Donna Per Cui Uccidere arriva dopo 9 anni a rovinare gran parte del ricordo legato all’originale. La tamarraggine insensata dell’ultimo episodio dell’originale diviene qui la chiave dominante, relegando la classe noir di “Bastardo Giallo” e la brutalità splatter dello scontro tra Kevin e Marv nell’angolo: fatto sta che l’orgia di poppe, erotismo e labbra infuocate non basta a creare una valida spina dorsale per le tre storie del film, che risulta stupido e di “serie B” (nella peggiore accezione possibile del termine).

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Vizio Di Forma, di  Paul Thomas Anderson (2014)

Paul Thomas Anderson ci regala l’ennesimo film dalle alte velleità e dalla scarsa realizzazione: trama inesistente, personaggi macchietta, condite da un’ottima regia che crea belle atmosfere noir. Che il romanzo alla base sia confusionario non mi interessa: è dovere del regista fare un briciolo di chiarezza, e se la trama del romanzo è davvero così stupida ed inconsistente (sesso e droga a fiumi senza una motivazione, senza che un personaggio o uno snodo della trama siano davvero approfonditi/interessanti) non c’è bisogno di mantenersi fedele al cartaceo. Ma più probabilmente è il solito problema che si frappone fra me il buon PTA: apprezzo le sue atmosfere e le sue “visioni”, molto meno apprezzo le sue vicende/personaggi/momenti da radical-chic snob e intellettualoide.

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Foxcatcher (2014)

Mark Schultz, medaglia olimpica 1984 nella lotta greco-romana, viene contattato dal ricco milionario John E. Du Pont, proprietario della villa Foxcatcher. Il magnate è un grande patriota ed appassionato di lotta: egli non tollera che Mark sia stato dimenticato dalla sua nazione, dopo il grande servizio reso con la sua vittoria olimpica, e gli propone di entrare nel team Foxcatcher da lui sponsorizzato. Inizia così uno strano ed intenso rapporto di amicizia tra i due personaggi, minacciato tuttavia dalla droga e dagli affetti personali (la madre di Du Pont e il fratello di Mark, medaglia olimpica e fidato braccio destro).

Trovare di nuovo Bennett Miller dopo 3 stagioni cinematografiche è stato un grandissimo piacere. Il trionfatore della Stagione 2011/2012 con il meraviglioso L’Arte Di Vincere, è tornato a far parlare di sè già dallo scorso Cannes (dove ha portato a casa il premio per la miglior Regia): le cinque nomine agli Oscar (di cui finalmente la prima per Miller stesso) hanno solo fatto aumentare l’hype nei confronti di questo nuovo Foxcatcher.

L’ultima Opera del buon Bennett (sceneggiata dalla coppia Dan Futterman/E. Max Frye) sembra, in effetti, riprendere da dove Moneyball era rimasto: là un magnifico perdente, qui due perdenti e basta. Ma qui il paradosso è ancora più ampio, se possibile: Miller fa di un ricco milionario e di un campione olimpico (e mondiale) i suoi perdenti, i suoi secondi. È un’altra categoria di perdenti, molto più complessa: sono i sottomessi.

Du Pont è sottomesso alla madre e alla sua immagine di riccone altolocato, la lotta è una passione che può permettersi solo di finanziare, di guardare in silenzio dall’esterno: quando cerca di entrarvi dentro, tutto si fa squallido e fittizio (come il suo improvvisarsi allenatore davanti alla telecamere, o il suo match comprato a tavolino). Mark, al contrario, è sottomesso al fratello: il fratello, più tecnico e più razionale, capace di condurre quell’ammasso di muscoli senza cervello ad ottenere risultati importanti.

E come il Beane di Moneyball, anche Du Pont e Mark lottano contro la loro condizione: da qui scaturisce il loro rapporto, che inevitabilmente si rivelerà distruttivo proprio perchè non allineato con la propria natura. Du Pont cerca infatti di diventare dominatore tramite il team Foxcatcher e tramite l’addestramento di Mark: wrestling, cocaina, una sottile tensione omosessuale – la meravigliosa scena in veranda, dove Mark (ormai cucciolo dipendente, cambiato nell’aspetto e nello spirito) è letteralmente accucciato ai piedi del suo padrone. Ma Du Pont in realtà sta cercando di aiutare anche Mark a cambiare la sua natura: “uscire dall’ombra del fratello”, questa la missione originale (si veda la MOVIEQUOTE) – paradossalmente conclusasi nel cambio di padrone.

La sconfitta è doppia, però: la madre muore senza avere mai davvero accettato la passione del figlio, e Mark è troppo incontrollabile. Ecco tornare in campo Dave, chiamato proprio da Du Pont: riprende il controllo di Mark, che in una rabbiosa catarsi fa i conti con la propria natura, e tristemente l’accetta. Al contrario di Du Pont, che non riuscirà ad accettare il fatto di essere stato spodestato come padrone, e – in parte – nuovamente sottomesso da un nuovo padrone (Dave stesso): e compierà così l’ultimo disperato tentativo di evasione dalla propria condizione.

Ingabbiato in atmosfere grige e pesanti, in ritmi dilatati capaci di contrarsi all’occorrenza in rabbiosi e violenti ritorni di fiamma, Foxcatcher cattura poco alla volta, senza cercare la scena ad effetto o la citazione da Storia del Cinema. Miller indugia a lungo sui personaggi, sulle loro espressioni monocordi: e il cast (perfetto: Tatum bestione senza cervello, Carell bloccato anche simbolicamente dal cerone, Ruffalo come sempre impegnato in una prova di sottrazione) accompagna quasi in silenzio la vicenda, il perfetto seguito della pellicola del 2011 (lento e desolante, là dove Moneyball era decisamente più ritmato e “romantico”). E conferma Miller come uno dei migliore registi USA degli ultimi anni.

“LOCANDIMETRO”

MOVIEQUOTE

Mad Max: Fury Road (2015)

In un futuro post-apocalittico, dove una serie di disastri ambientali ha reso il mondo una landa desertica, Max vive nel rimorso per la morte della sua famiglia. Catturato da Immortan Joe e i suoi “figli di guerra” e rinchiuso nella primordiale “Cittadella”, Max aiuterà l’imperatrice Furiosa e le mogli di Immortan Joe (da lui utilizzate solo a scopi riproduttivi, così come i “figli di guerra” sono usati al solo scopo di farsi massacrare per la gloria del loro padre) a fuggire dal controllo schiavista del re della “Cittadella”.

Non amo il genere cinematografico “d’Azione”, inutile negarlo. Spesso ci si trova di fronte a lavori tutto steroidi e niente cervello/anima, esattamente come gli attori/personaggi che ne popolano le vicende: cercando di andare un po’ al di sopra dello standard medio recente (l’improbabile saga di Fast & Furious, ad esempio), un film come Skyfall – che pure ha convinto non pochi (appassionati e non di James Bond) – mi ha lasciato completamente indifferente. Certo, se il livello si porta sullo standard Inception allora scattano gli applausi, ma non tutti sono in grado come Dio Nolan di infondere profondità e intelligenza alla struttura di un film “d’Azione”.

Mad Max: Fury Road, 4° titolo di una saga interrottasi negli anni ’80 (con la quale però nulla ha a che vedere, se non per il titolo e il recupero del personaggio protagonista), sembrava perfettamente inserirsi nei suddetti canoni – a partire dal mencissimo trailer, che francamente non lasciava presagire nulla di buono. Il nome dietro la pellicola, poi, mi lasciava quantomeno perplesso: George Miller, 70enne già noto per Babe – Maialino Coraggioso Happy Feet (intendiamoci, due film sicuramente carini, ma di genere diametralmente opposto a quello oggi in esame).

E difatti anche Mad Max: Fury Road si basa chiaramente, più che sull’originalità/intelligenza/struttura della vicenda narrativa, sulla potenza della visione: sulle coreografie, sulle scenografie, sugli effetti speciali, sulla colonna sonora, sul trucco e parrucco… Ma, dietro l’apparente tamarraggine che sembrerebbe apparentarlo ad un qualsiasi film “d’Azione”, la nuova opera di Miller ha ben altro da offrire: la riprova di quanto sia forte la forza dell’immaginazione.

Perchè l’apparato spettacolar-tecnico di Mad Max: Fury Road non è tutto imperniato sul mostrarci il nuovo modello di Lamborghini fiammante, nè sul riciclare (seppur efficacemente) schemi già noti; è l’esplosione, coloratissima ed animatissima, dell’animo creativo di un 70enne ancora bambino, che dopo aver parlato ai bambini (e non solo) con le precedenti pellicole ha lasciato libera tutta la sua voglia di fare, e di stupire. Farlo nel 2015 sembra difficile, ma provate a non restare a bocca aperta di fronte a certe idee: i bombardatori su pertiche oscillanti (che all’occorrenza si improvvisano rapitori), il luogotenente con il casco fatto di proiettili per avere sempre la ricarica pronta, il chitarrista metal che lancia lingue di fuoco dalla chitarra mentre suona (appeso con fili ad un mega-stereo, oscillando come una marionetta umana), gli uomini usati come sacca di sangue vivente da cui effettuare trasfusioni…

E questa meraviglia creativa, nonostante punti tantissimo sulla spettacolarizzazione dell’azione, non manca di possedere una struttura narrativa semplice ma efficace ed intelligentemente gestita. George Miller, Nick Lathouris e Brendan McCarthy creano personaggi solo apparentemente mono-dimensionali, in realtà capaci di evolvere senza fretta o innaturalezza: è il caso dello stesso Max, ovviamente, capace di tornare ad affezionarsi a qualcuno e a lottare contro i suoi fantasmi per scoprire una verità di cui non si era mai accorto; è il caso di Furiosa e del suo background, tanto semplice quanto capace di emozionarci al momento del colpo di scena che le mozza il respiro (e a noi con lei); è il caso soprattutto di Nux, “figlio della guerra” che – unico fra tutti – riempirà di valore una parola vuota ed ingannevole come “ammirami” nel fare per la prima volta qualcosa che conti davvero (per sé e per gli altri).

Condito da un impianto tecnico di prim’ordine, in grado di dare seguito alla visione creativa di Miller, e da un cast altrettanto valido (i soliti Tom Hardy e Charlize Theron, ma anche la sempre gnocca Megan Gale e il bravissimo Nicholas Hoult-Nux), Mad Max: Fury Road è un film “d’Azione” che al posto della tamarraggine ha scelto la potenza creativa, e al posto di ridursi ad un carosello di testosterone decerebrato ha voluto travolgere le nostre connessioni sinaptiche con pura adrenalina e genuina emozione. E per questo non posso che applaudire questa grande prova di un regista che ha saputo ridare una dignità al cinema U.S.A. di genere, ormai da tempo smarrita.

 “LOCANDIMETRO”

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