Premi Oscar 2018

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Eccoci giunti al momento di maggior rilevanza mediatica nell’annata cinematografica: i Premi Oscar, statuette dal più che dubbio valore meritocratico ma dall’altrettanto indubbio potere suggestivo e fascino intramontabile: chiunque abbia a che fare con il mondo del Cinema (o anche chi sogna di averci a che fare) non può rimanere impassibile di fronte all’ormai storica premiazione, giunta alla sua 90esima edizione. Ecco dunque il mio personalissimo commento (relativo alle 8 categorie principali) sulla cerimonia svoltasi ad Hollywood durante la notte tra Domenica e Lunedì – come sempre, cliccando sul nome del film verrete re-indirizzati alla mia personalissima recensione, ove disponibile.

LEGENDA

GRASSETTO: Vincitore.

SOTTOLINEATO: Vincitore nella mia modestissima opinione.

ROSSO: Nome che avrei selezionato per la cinquina.

MIGLIOR SCENEGGIATURA NON ORIGINALE

Scott Frank, James Mangold e Michael Green (Logan – The Wolverine)

James Ivory (Chiamami Col Tuo Nome)

Scott Neustadter e Michael H. Weber (The Disaster Artist)

Dee Rees e Virgil Williams (Mudbound)

Aaron Sorkin (Molly’s Game)

È una sensazione dolce-amara quella che provo di fronte all’Oscar conquistato da James Ivory. Il “ragazzo” è uno dei miei favoritissimi di sempre, specie dopo la visione di Camera Con Vista e del filmone Quel Che Resta Del Giorno (per chi scrive, il più bel film sentimentale di sempre), eppure la sua Arte si manifesta soprattutto in campo registico, e non in quello compositivo: aggiungete il fatto che lo script di Chiamami Col Tuo Nome è decisamente troppo lento e indulgente nella prima parte, per poi finalmente accendersi solo sul finale (dove, però, presenta comunque un paio di “scivolini”), capirete che non mi trovo particolarmente d’accordo con questa statuetta. Non posso indicare un favorito, in quanto non ho visto ben tre dei candidati, ma sulla fiducia mi viene da azzardare l’ennesimo capolavoro scrittorio di Aaron Sorkin (l’uomo che ha vinto solo un Oscar per The Social Network, quando se lo sarebbe meritato almeno in altre due occasioni).

MIGLIOR SCENEGGIATURA ORIGINALE

Guillermo del Toro e Vanessa Taylor (La Forma Dell’Acqua – The Shape Of Water)

Greta Gerwig (Lady Bird)

Emily V. Gordon e Kumail Nanjiani (The Big Sick – Il Matrimonio Si Può Evitare… L’Amore No)

Martin McDonagh (Tre Manifesti A Ebbing, Missouri)

Jordan Peele (Scappa – Get Out)

A differenza di molti, non sono un detrattore del lavoro di Jordan Peele: Scappa – Get Out è, a mio avviso, uno degli horror/thriller più interessanti degli ultimi anni, con un’originale prospettiva (soprattutto poco moralistica) sul confronto razziale. È altrettanto indubbio, però, che il soggetto sia più forte dell’effettiva sceneggiatura, la quale presenta un paio di passaggi a vuoto ed un finale esageratamente affrettato. Tre Manifesti A Ebbing, Missouri è un ottimo saggio di scrittura (sia a livello di personaggi che come caratterizzazione socio-ambientale), e avrei decisamente preferito assegnare la statuetta a Martin McDonagh.

MIGLIOR ATTRICE NON PROTAGONISTA

Mary J. Blige (Mudbound)

Allison Janney (Tonya)

Lesley Manville (Il Filo Nascosto)

Laurie Metcalf (Lady Bird)

Octavia Spencer (La Forma Dell’Acqua – The Shape Of Water)

Una volta di più mi trovo costretto a sospendere il giudizio: non ho visionato la prova della vincitrice (il film, del resto, non è ancora uscito in Italia), né quella di altre tre candidate. Sono contento che la Janney (meravigliosa in Juno, nei panni della matrigna della protagonista) si sia portata a casa un riconoscimento, e in generale sono molto curioso di vedere questo Tonya – un sesto senso mi dice che potrebbe trattarsi della mia grande sorpresa Stagionale. Se mi è concesso un appunto, tuttavia, mi dispiace che non siano state nominate né Oona Laurence per L’Inganno, né Ana De Armas per Blade Runner 2049.

MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA

Willem Dafoe (Un Sogno Chiamato Florida)

Woody Harrelson (Tre Manifesti A Ebbing, Missouri)

Richard Jenkins (La Forma Dell’Acqua – The Shape Of Water)

Christopher Plummer (Tutti I Soldi Del Mondo)

Sam Rockwell (Tre Manifesti A Ebbing, Missouri)

Qui proprio non ci siamo. Rockwell è un onesto attore, e la sua performance è tutto fuorché scarsa, ma non capisco proprio questo premio: di fronte a due personaggi molto meno appariscenti, cullati sotto le righe dalle performance di Richard Jenkins e Woody Harrelson, premiare un’interpretazione veramente molto similare a quella di Christian Bale in The Fighter (e già quella statuetta non fu necessariamente meritata) mi lascia perplesso. So che a Hollywood le interpretazioni sopra le righe vanno per la maggiore, ma per me non c’erano proprio paragoni.

MIGLIOR ATTRICE PROTAGONISTA

Sally Hawkins (La Forma Dell’Acqua – The Shape Of Water)

Frances McDormand (Tre Manifesti A Ebbing, Missouri)

Margot Robbie (Tonya)

Saoirse Ronan (Lady Bird)

Meryl Streep (The Post)

Altra vittoria di cui sono ben poco contento. Rifletteteci un attimo: vi pare possibile che Frances McDormand (una che in quanto a versatilità non è esattamente superlativa) abbia due Oscar a casa? Ma al netto di simili considerazioni, che lasciano il tempo che trovano, siamo nuovamente di fronte ad un caso di performance molto “derivativa”: e qui non si tratta di recuperare da un altro attore, bensì di interpretare un personaggio molto similare a quello che già ci ha fatti trionfare nel lontano 1997 (Fargo), e di interpretarlo in maniera molto similare (con sardonica asprezza). Aggiungete che Sally Hawkins ne La Forma Dell’Acqua – The Shape Of Water è magistrale, e che (sono convinto) le performance di Saoirse Ronan e Margot Robbie mi daranno molto di cui plaudire, che avrei indubbiamente nominato la schizofrenica Noomi Rapace di Seven Sisters o la possente Trine Dyrholm di Nico, 1988 (anche se mi rendo conto che è molto difficile vedere nominato un attore per un film non prodotto in USA, Australia o UK), e capirete come mai questo è forse il premio che mi ha lasciato più insoddisfatto dell’intera serata.

MIGLIOR ATTORE PROTAGONISTA

Timothée Chalamet (Chiamami Col Tuo Nome)

Daniel Day-Lewis (Il Filo Nascosto)

Daniel Kaluuya (Scappa – Get Out)

Gary Oldman (L’Ora Più Buia)

Denzel Washington (Roman J. Israel, Esq.)

Non ho visto Daniel Day-Lewis, premetto: e Day-Lewis (per quanto non sia da me troppo amato, “soggettivamente”) può sempre sparigliare le carte in tavola. Detto questo, voglio rischiare: oso dire che Gary Oldman abbia vinto con merito questa statuetta. Più che altro perché il nostro, ne L’Ora Più Buia, si è prodotto in una squisita performance british del buon Winston Churchill, perfettamente in equilibrio tra sopra e sotto le righe: considerando, poi, una strepitosa carriera che ha fruttato solamente due (due!) nomination da parte dell’Academy, mi sembra che i presupposti ci siano tutti.

MIGLIOR REGIA

Paul Thomas Anderson (Il Filo Nascosto)

Guillermo Del Toro (La Forma Dell’Acqua – The Shape Of Water)

Greta Gerwig (Lady Bird)

Christopher Nolan (Dunkirk)

Jordan Peele (Scappa – Get Out)

Sono molto contento per la vittoria (duplice) di Del Toro: come già detto nella mia recensione di La Forma Dell’Acqua – The Shape Of Water, il suo passato cinematografico basta da solo ad inserirlo nella mia personale cerchia dei favoritissimi. Oltre a questo, il suo trionfo va a scapito di Paul Thomas Anderson (che ho sempre trovato estremamente sopravvalutato) e di Christopher Nolan (che, come saprete tutti, ritengo Dio, ma che con Dunkirk confeziona, purtroppo, un film assolutamente minore nella sua personale storia cinematografica). Sono, semmai, deluso per un altro motivo: dalla cinquina sono infatti rimasti esclusi sia la tensiva morbidezza di Sofia Coppola nel dirigere L’Inganno, sia (soprattutto!) colui che avrebbe dovuto davvero vincere il premio, ovvero Denis Villeneuve per il suo clamoroso Blade Runner 2049.

MIGLIOR FILM

Chiamami Col Tuo Nome

Dunkirk

Il Filo Nascosto

La Forma Dell’Acqua – The Shape Of Water

Lady Bird

L’Ora Più Buia

The Post

Scappa – Get Out

Tre Manifesti A Ebbing, Missouri

Il film di Del Toro si porta a casa (come già anticipato) anche il premio per la miglior pellicola. Di nuovo, mi trovo molto triste nel vedere che il poderoso Blade Runner 2049 non sia nemmeno stato nominato (a pensare che Villeneuve si prese doppia nomina per quella mezza ciofeca di Arrival, un anno fa…), ma sono comunque soddisfatto per Guillermone: la sua ultima opera è stata accusata, con un’esagerazione a dir poco disumana, di plagio – il tutto perché, in un corto di tre anni fa, si parla di una donna che fa le pulizie e salva un uomo-pesce da un laboratorio (poco importa che nel suddetto corto il mondo sia post-apocalittico e non surreale, che la protagonista non sia muta, che l’acqua non abbia alcuna importanza, che non ci siano i personaggi di Jenkins, Spencer e Shannon…). Sarei stato contento anche di un’eventuale vittoria di Tre Manifesti A Ebbing – Missouri, ma La Forma Dell’Acqua – The Shape Of Water è fiaba di rara preziosità, il che è raro in un genere talmente abusato da produrre spesso blandi risultati privi di forza. E per questo brindo a Guillermo, ai mostri marini, alla bellezza dell’Amore e all’Academy per la saggia decisione.

Questo è tutto: alla prossima edizione!

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La Forma Dell’Acqua – The Shape Of Water (2017)


Siamo negli Stati Uniti, in piena guerra fredda. Elisa, una donna di mezza età affetta da mutismo, vive in un angusto appartamento che ha arredato come una piccolo regno magico: ha un amico nel vicino di casa, un pittore gay con il quale condivide la passione per il Cinema muto. Elisa, inoltre, lavora come addetta alle pulizie all’interno di un centro di ricerca governativo: un giorno, nel laboratorio, fa la sua comparsa un essere incredibile, metà uomo e metà pesce, che attira subito l’attenzione della donna…

Guillermo Del Toro (soprannominato affettuosamente “CiccioMessico” dal sottoscritto) è sempre stato un favorito, qui in casa Cinemalato: nonostante lo sciatto Crimson Peak di qualche Stagione fa, mi è impossibile non volere bene (artisticamente parlando) all’ideatore de Il Labirinto Del Fauno, nonché colui che stava dietro alla maggior parte del primo Lo Hobbit (e che, se fosse stato libero di procedere, avrebbe reso la saga un altro cult del genere).

Quando, dunque, ho saputo che il suo ultimo lavoro aveva vinto il Leone D’Oro a Venezia, ho subito pensato che CiccioMessico avesse nuovamente tirato fuori il coniglio dal polveroso cilindro: quando, invece, il ragazzo si è portato a casa il Golden Globe per la Miglior Regia e ha ricevuto tredici nomination agli Oscar, ho iniziato a temere di trovarmi di fronte ad un prodotto corretto, ma “americano”.

Fortunatamente non è questo il caso, perlomeno non con la temuta gravità. La Forma Dell’Acqua – The Shape Of Water è una favola dall’impianto narrativo classico, dai tocchi registici talvolta lievemente derivativi da certo Cinema fantastico-surreale (Il Favoloso Mondo Di Amélie su tutti), ma con una sua forte identità DelToriana che mette in secondo piano gli echi stilistico-strutturali.

La realtà insudiciata e l’evasione monda si intrecciano costantemente, come in un valzer: alla polvere e alla vetustà dell’appartamento di Elisa, si contrappongono le surreali forme curvilinee del suo arredamento; alla leggerezza romantica della donna nel suo sognare un musicale tip-tap si contrappongono le sue deprimenti e meccaniche masturbazioni; alla delicatezza della storia d’amore, si contrappongono la violenza dell’omofobia e del razzismo, nonché il rosso carminio del sangue (che inonda lo schermo più volte). L’antinomia più forte, però, è quella tra parola e gesto: all’interno del film, le parole sono costantemente menzognere, deboli o violente, e creano ostacoli che complicano la vicenda; i gesti, al contrario, sono sinceri e risolutivi, capaci di generare amore o di salvare vite.

Il silenzioso sentimento che si instaura tra i due muti protagonisti della pellicola è costantemente segnato dalla presenza dell’acqua, fin da quella nella quale bollono le uova sode, primo motore dell’intera vicenda. Ed è un progressivo detergersi dell’acqua e nell’acqua: dallo squallore iniziale di una vasca sporca (di sangue e di solitudine), si passa all’inondazione di un’intera stanza che diventa pioggia d’amore per le persone circostanti, fino alla metamorfosi acquatica del lieto fine (dove le ferite dell’esclusione terrestre diventano branchia e lasciapassare per una nuova inclusione nell’acqua).

Al netto di alcuni momenti meno felici (la scena pre-finale del ballo in bianco e nero, un po’ leziosa e telefonata – anche se, rispetto ad un La La Land, molto meno tirata per le lunghe e dunque più facilmente digeribile; il finale, in generale un po’ affrettato nella sua rocambolesca risoluzione), la coerenza stilistico-tematica di La Forma Dell’Acqua – The Shape Of Water, nonché il suo cast eccellente (oltre ai soliti ottimi Shannon e Doug, si segnalano il delicato pittore di Richard Jenkins e la strepitosa Elisa di Sally Hawkins – di una delicatezza e risolutezza commoventi), ne fanno un titolo imperdibile per la Stagione in corso, un gioiellino di fiaba che riesce a far sognare ed emozionare senza zuccheri aggiunti né forzature: e riuscire, oggi, a concepire una favola (uno dei più antichi generi narrativi) che non sia piatta o scontata, non è impresa affatto facile.

“LOCANDIMETRO”

MOVIEQUOTE

Quando mi guarda, lui non vede quello che mi manca o quanto io sia incompleta.

Classifica Stagionale 2014/2015: Il Fondo Del Barile + La Panca

E così anche quest’anno è arrivata la personalissima, opinabilissima, Levissima Classifica Stagionale del Cinemalato! Come dovreste ormai sapere, i film presi in considerazione non si riferiscono all’anno di produzione, quanto a quello di distribuzione nelle sale italiane: a contendersi i posti in classifica saranno dunque tutte le pellicole uscite nel periodo compreso fra l’1 Agosto 2014 ed il 31 Luglio 2015 che il sottoscritto è riuscito a visionare.

Genericamente, 5 sono le sezioni di cui si compone la classifica: ecco un rapido recap, per quelli di voi che non rimembrano.

Si parte con “Il Fondo Del Barile”, ovvero tutti i film che non hanno raggiunto la sufficienza nella valutazione (da 2/5 in giù); si prosegue con “La Panca”, ovvero quelle pellicole che hanno raggiunto almeno la sufficienza (2,5/5), ma non hanno preso abbastanza da entrare in TOP20; si passa poi alla TOP20 vera e propria, suddivisa in “Parte Bassa (20-11)“, “Parte Alta (10-4)“,  ed infine “Il Podio (3-1)“.

Tuttavia, questa Stagione è stata tanto povera di titoli interessanti, che il vostro affezionato critico amatoriale è riuscito a visionare solo 28 pellicole. Dunque ci sarà una piccola modifica: il primo appuntamento non sarà quello canonico (ovvero quello con i flop, le grosse delusioni, gli orrori), ma vedrà una compressione di “Fondo Del Barile” e “Panca”. Questo per un semplice motivo: eliminando i titoli della top20, sarebbero rimasti fuori solo 8 titoli; di questi, ben 6 facevano parte del “Fondo”, dunque la “Panca” avrebbe previsto la suprema quantità di 2 pellicole, e mi sembrerebbe di sprecare un post per un gruppo così poco numeroso.

Ad ogni modo, la regola suprema rimane intatta: come tutti gli anni, “Il Fondo Del Barile” e “La Panca” saranno elencati in ordine alfabetico, e non classificati (potrete comunque distinguere tra i due gruppi: i titoli del “Fondo” hanno il nome del regista colorati di grigio, quelli della “Panca” in violetto) ma semplicemente per ordine alfabetico. Cliccando sul titolo potrete leggere la recensione relativa alla pellicola, quando disponibile.

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American Sniper, di Clint Eastwood (2014)

Il buon Clint prosegue imperterrito nel suo cammino discendente. Lo so che ad una leggenda come Eastwood, un calo alla veneranda età di 85 anni lo si dovrebbe anche concedere: ma quando penso ai filmoni girati in passato da quest’uomo, alla sue trame tanto solide quanto emozionanti, ai suoi personaggi scritti e scavati nel marmo, alla sua sapiente e classica regia, mi si forma un discreto groppo in gola al vederlo realizzare filmetti di semolino riscaldato, animati da personaggi macchietta (J.Edgar/Invictus) o impossibili da penetrare/empatizzare (Sniper, per l’appunto). Speriamo nel miracolo, o nel ritiro.

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Annabelle, di John R. Leonetti (2014)

Tra i primi film visti questa Stagione, Annabelle avrà anche dalla sua i produttori de L’Evocazione, ma manca totalmente l’intelligenza, la raffinatezza, l’efficacia horror di quello che dovrebbe essere il suo predecessore (del quale, al contrario, si è impossessato esclusivamente per quanto riguarda il personaggio della bambola, rendendola uno stupidissimo canale d’ingresso per presenze demoniache). “Anabellamerda”, com’è stato definito da qualcuno – con molta più efficacia ed intelligenza del film stesso, probabilmente il peggiore visto in questa Stagione.

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Big Eyes, di Tim Burton (2014)

A proposito di registi in picchiata totale, Tim Burton non fa – ahimè – eccezione. Certo, Big Eyes è già superiore ad Alice In Wonderland e Dark Shadow, ma non è che ci volesse poi molto: e se alcuni spunti potrebbero anche essere interessanti, l’atmosfera realistica, la trama a tratti affrettata e i personaggi macchietta rovinano ogni potenziale. Lana Del Rey, se non altro, ci regala un’altra bella canzone con la title-track della OST: magra consolazione.

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The Giver – Il Mondo Di Jonas, di Phillip Noyce (2014)

The Giver – Il Mondo Di Jonas vince a mani basse il premio di “film peggio strutturato dell’anno”. Partendo da un interessante spunto di base, gli sceneggiatori sputtanano ogni potenziale del suddetto spunto, limitandosi a stiracchiarlo: il risultato è un film con buchi di trama pazzeschi, forzature micidiali e frettolosità immotivata. Che, combinato con le visioni-lezioni di Jonas (il trionfo del perbenismo e del radical-chic in HD, con Nelson Mandela che si alterna a tigri del Bengala come se non ci fosse un domani ad indicarci le bellezze del mondo), rende il tutto un discreto flop.

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Jupiter – Il Destino Dell’Universo , di Andy & Lana Wachowski (2015)

Già il Matrix numero 2, all’epoca, mi aveva mostrato un gigantesco passo indietro rispetto all’ormai cult capostipite, ma i fratelli Andy & Lana fanno anche di peggio: Jupiter è imbarazzante, da tanto è scritto con noncuranza, superficialità e confusione. La protagonista non ha una personalità chiara nè un obiettivo definito; la sua relazione con il lupacchiotto-Channing Tatum imbarazzante (e perchè mal sviluppata, e perchè ormai qualsiasi lupacchiotto mannaro mi rimembra Twilight); e la successione delle vicende e dei cattivi è ben poco felice (basti vedere la pateticamente facile risoluzione della seconda battaglia, poco prima del matrimonio di Jupiter). Insomma, un pastrocchio scritto con i piedi, a cui non basta l’impianto tecnico e il buon cast per redimersi.

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Mia Madre, di Nanni Moretti (2015)

Il buon Nanni nazionale, come altri registi già citati, prosegue il suo declino: dopo Habemus Papam, un’altra pellicola francamente evitabile. Là dove il film con Piccoli aveva un’idea originale male impegnata (soprattutto nel finale), qua abbiamo un’idea di fondo banalissima che a tratti rende (soprattutto grazie alla straordinaria Nonna di Giulia Lazzarini), a lunghissimi tratti annoia o lascia perplessi (il personaggio di Nanni Moretti fa davvero fatica a farsi apprezzare nell’economia del film).

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Sin City – Una Donna Per Cui Uccidere, di Frank Miller & Robert Rodriguez (2014)

Là dove il prequel del 2005 aveva una certa originalità visiva, accompagnata da una trama che (almeno per 2/3) possedeva un’ottima struttura e dei grandiosi personaggi da insta-cult, Sin City – Una Donna Per Cui Uccidere arriva dopo 9 anni a rovinare gran parte del ricordo legato all’originale. La tamarraggine insensata dell’ultimo episodio dell’originale diviene qui la chiave dominante, relegando la classe noir di “Bastardo Giallo” e la brutalità splatter dello scontro tra Kevin e Marv nell’angolo: fatto sta che l’orgia di poppe, erotismo e labbra infuocate non basta a creare una valida spina dorsale per le tre storie del film, che risulta stupido e di “serie B” (nella peggiore accezione possibile del termine).

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Vizio Di Forma, di  Paul Thomas Anderson (2014)

Paul Thomas Anderson ci regala l’ennesimo film dalle alte velleità e dalla scarsa realizzazione: trama inesistente, personaggi macchietta, condite da un’ottima regia che crea belle atmosfere noir. Che il romanzo alla base sia confusionario non mi interessa: è dovere del regista fare un briciolo di chiarezza, e se la trama del romanzo è davvero così stupida ed inconsistente (sesso e droga a fiumi senza una motivazione, senza che un personaggio o uno snodo della trama siano davvero approfonditi/interessanti) non c’è bisogno di mantenersi fedele al cartaceo. Ma più probabilmente è il solito problema che si frappone fra me il buon PTA: apprezzo le sue atmosfere e le sue “visioni”, molto meno apprezzo le sue vicende/personaggi/momenti da radical-chic snob e intellettualoide.

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Recensione-Minestrone #1

Partiamo con le dovute scuse. Sono più di tre mesi che non tocco blog, e questo per sostanzialmente due motivi:

1) Ho avuto tanto da lavorare, da studiare, da scrivere (ho iniziato un corso di sceneggiatura, per vedere di iniziare a capirci qualcosa su come crearne una/su come muovermi una volta scritta).

2) Letto il punto 1? Bene, dimenticatelo, perchè in realtà conta solo questo punto 2: sono pigro, e non ho avuto stimoli.

Il problema di questa Stagione 2014/2015, giunti all’usuale giro di boa di Febbraio, è stato di non riuscire a farmi minimamente alzare le sopracciglia in una qualsiasi espressione (che fosse di disgusto, di ammirazione, di perplessità…): è solo riuscita a lasciarmi profondamente indifferente. Ma ci sono 2 fattori che mi stanno facendo riprendere in mano il semi-comatoso “Cinemalato”:

1) Il fatto che non mi abbiate abbandonato, continuando a regalarmi visualizzazioni ben sopra le aspettative per un blog che non pubblica nessun post nel giro di 90 e rotti giorni (ci sono state giornate da 70 visualizzazioni, non scherzo!).

2) Il fatto che, effettivamente, il finale di Stagione abbia riportato un paio di titoli di cui (nel bene o nel male) voglio discutere – perchè mi hanno stimolato a farlo.

Ma non posso passare direttamente ai suddetti, senza perlomeno rendervi partecipi di quel minestrone di film su cui non mi sono sentito di dire così tanto da farci una recensione (il che non vuol dire che non mi siano piaciuti: come vedrete ci sono anche pellicole da 8/10). Ed ecco dunque, a parziale risarcimento e a ri-partenza del blog dopo il lungo stop, una “recensione-minestrone” delle pellicole meno “stimolanti” che mi sono trovato a visionare in questi mesi di silenzio.

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Il Nome Del Figlio, di Francesca Archibugi (2015)

Il Nome Del Figlio è una buona commedia di attori, ottimamente recitata da un valido cast (su cui spiccano un ritrovato Alessandro Gassman e lo stralunato Rocco Papaleo), con un paio di sequenze genuinamente commoventi. In linea di massima non si discosta molto dal cosiddetto “film d’attori”: buoni dialoghi senza troppo genio, impianto teatrale (una-due location e vicenda circoscritta a qualche ora di una serata tra amici), regia talmente invisibile da essere quasi inesistente. Non male, ma certo non siamo neppure lontanamente dalle parti di Venere In PellicciaVOTO: 7/10

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Jupiter – Il Destino Dell’Universo, di Andy & Lana Wachowski (2015)

Già il Matrix numero 2, all’epoca, mi aveva mostrato un gigantesco passo indietro rispetto all’ormai cult capostipite, ma i fratelli Andy & Lana fanno anche di peggio: Jupiter è imbarazzante, da tanto è scritto con noncuranza, superficialità e confusione. La protagonista non ha una personalità chiara nè un obiettivo definito; la sua relazione con il lupacchiotto-Channing Tatum imbarazzante (e perchè mal sviluppata, e perchè ormai qualsiasi lupacchiotto mannaro mi rimembra Twilight); e la successione delle vicende e dei cattivi è ben poco felice (basti vedere la pateticamente facile risoluzione della seconda battaglia, poco prima del matrimonio di Jupiter). Insomma, un pastrocchio scritto con i piedi, a cui non basta l’impianto tecnico e il buon cast per redimersi. VOTO: 4/10

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Hungry Hearts, di Saverio Costanzo (2014)

Costanzo prosegue il suo ottimo cammino di Figlio D’Arte Meritevole (FDAM, categoria da me inventata in cui rientrano – tra gli altri – Sofia Coppola e Jason Reitman) con un’altra pellicola potente e grottesca su una coppia e il loro piccolo neonato. Un tantino ripetitiva forse (perlomeno, la parte centrale allomba un po’), e non perfetta nella gestione dei rapporti di coppia (il marito, sull’orlo della separazione, rimane co la moglie per un altro paio di sequenze senza una vera motivazione), ma niente di così grave: bello il finale, anche se un po’ telefonato, e bravissimi gli attori. VOTO: 7,5/10
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Mia Madre, di Nanni Moretti (2015)

Il buon Nanni nazionale, al contrario, prosegue il suo declino: dopo Habemus Papam, un’altra pellicola francamente evitabile. Là dove il film con Piccoli aveva un’idea originale male impegnata (soprattutto nel finale), qua abbiamo un’idea di fondo banalissima che a tratti rende (soprattutto grazie alla straordinaria Nonna di Giulia Lazzarini), a lunghissimi tratti annoia o lascia perplessi (il personaggio di Nanni Moretti fa davvero fatica a farsi apprezzare nell’economia del film). VOTO: 6/10

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Il Racconto Dei Racconti, di Matteo Garrone (2015)

Garrone si getta in una “pazzia Italiana”, un fantasy medievaleggiante tratto dal folkloristico Cunto De Li Cunti: è un film senza una vera tematica, senza un messaggio forte, ma dall’innegabile fascino estetico e narrativo (le vicende sono perfettamente raccontate e giostrate l’una rispetto all’altra), e da ammirare per la volontà di fare qualcosa di diverso dagli usuali e “iperrealistici” canoni patrii. VOTO: 8/10

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Blackhat, di Michael Mann (2015)

Blackhat è un film schizofrenico: parte come un normalissimo thriller d’azione americano, ben strutturato e profondamente realistico. Proprio quando mi iniziavo ad annotare mentalmente la quasi totale mancanza di empatia con i personaggi/di emozione alcuna, ecco che (a 3/4 buoni dall’inizio della pellicola) assistiamo ad un crescendo emotivo e ad un colpo di scena a dir poco esplosivo, che mi hanno lasciato a bocca aperta. Arriva però il quarto finale di film a rovinare tutto: oltre ad una spiegazione davvero mencia per l’intrigo fino ad allora svelato, vediamo il cattivone del film (deludentissimo: un trippone medio-americano in camicia hawaiana) morire in una sequenza iper-coreografata/scenografata che ricorda più un Kill Bill venuto male, che non ciò che i primi 3/4 di pellicola lasciassero prevedere. Confuso ed infelice. VOTO: 7/10

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Guardiani Della Galassia, di James Gunn (2014)

Premendo fortemente il tasto della comicità e dell’ironia, Gunn porta a segno un ottimo film di supereroi che, non prendendosi sul serio, sa regalare momenti davvero originali per il genere (si pensi allo stupidissimo personaggio di Bautista o al tenerissimo finale con il germoglio di Groot che balla al ritmo dei Jackson 5). Le scene d’azione sono un po’ scontate, ma il ritmo è buono: manca, per il momento, un approfondimento dei personaggi (soprattutto il protagonista), che si suppone verrà rimandato in gran parte al prossimo episodio. VOTO: 7,5/10