Sin City (2005) Vs Sin City – Una Donna Per Cui Uccidere (2014)

LO SCONTRO

Da molto, troppo tempo (ben un anno e passa), mancavano i “Vs.” del Cinemalato: l’uscita dell’episodio numero 2 del cinefumetto più cult di sempre mi permette di rispolverare questa categoria, finita un po’ nel dimenticatoio. Che lo scontro abbia inizio!

Quando Sin City uscì al cinema nel lontano 2005 io non lo vidi. Rappresentava una discreta novità, comunque, dal momento che si trattava di una sorta di “cine-comic”, vero e proprio “trasporto” – non trasposizione – di un fumetto (con tutte le sue atmosfere e “regole”) su pellicola. E a prescindere da questo suo merito, la qualità della pellicola era notevole (per quanto gli influssi tarantiniani, particolarmente Kill Bill, si facessero sentire). Ovviamente non tanto per merito dei personaggi/episodi rimasti più impressi nella memoria pubblica (ovvero il massacro della città vecchia con Clive Owen e Rosario Dawson, la “letale piccola Miho”, eccetera), quanto per il meraviglioso duetto Willis/Hartigan-Alba/Nancy sulle fumose note di un noir vecchio stampo, condito con una vitale modernità di stampo fumettoso e quel “bastardo giallo” così putrido e perfetto come cattivone di turno. Perchè il problema grosso di Sin City, l’unico vero problema, era quell’equilibrio instabile fra splatter e tamarro – fra eleganza e abuso nell’utilizzo di effettoni speciali, sangue, colore… -, che non sempre riusciva a mantenere.

Sin City – Una Donna Per Cui Uccidere è invece uscito in un periodo ben diverso, mancando ormai di possedere quell’inedita forza aggiuntiva dell’originale (impossibile, dopo l’uscita di numerosi film del genere come il sopravvalutatissimo 300). Ma non è questo che conta, alla fine dei conti: vale molto di più l’approccio, totalmente diverso, che ho riscontrato e che rende la pellicola immensamente inferiore all’originale.

Qua la componente tamarra è diventata sovrana, si cerca solo e soltanto il sangue facile, l’uccisione spettacolare, la frase ad effetto, e lo si fa premendo esageratamente sul pulsante dell’irreale. Il bestione interpretato da Mickey Rourke (Marv) non era un sottospecie di robot invincibile nel primo Sin City, ad esempio: il suo scontro con Elijah Wood/Kevin aveva un che di sovrannaturale, eppure (senza eccessi di sangue, con una “sconfitta” a testa nel corso di due scontri) era ancora perfettamente credibile – esattamente quel genere di atmosfera “in precario equilibrio” di cui parlavo prima. Qua Marv mena le mani in maniera inarrestabile, schiva proiettili come neanche un pokemon che avesse usato doppioteam 6 volte, e sembra solo un bestione senza cervello – non quel rude e rissoso macellaio-gentiluomo che emergeva dal rapporto con Goldie nel primo film.

La tamarraggine, tuttavia, è fortemente collegata con l’elemento femminile. Parliamoci chiaro. Rosario Dawson che spara a manetta con un mitra roteando la lingua come una spiritata è figa, ma non cinematograficamente parlando: è figa perché la si tromberebbe molto volentieri. La presenza di donne killer nell’episodio di Clive Owen è forse il motivo principe per cui tale episodio sia il peggiore del primo Sin City: la pellicola del 2005 era “maschia”, ovvero l’azione era affidata all’uomo e la donna serviva come motore, come principessa indifesa – non c’era nulla di sessista in questo, era solo la formula adottata, e funzionava alla grande. Nel terzo episodio del primo film, le parti si invertivano, e il tutto assumeva proporzioni di tamarraggine e ridicolezza assolute. In Sin City – Una Donna Per Cui Uccidere, in perfetto contrasto con il titolo, sono le donne a farla da padrona: ma Rosario Dawson è sempre tamarra, Eva Green un personaggio assolutamente scontato (per quanto più figa che mai), e Nancy-killer-dalla-mira-perfetta semplicemente non funziona (dov’è finito l’angelo biondo, indifeso simbolo di purezza che l’enorme Hartigan di Bruce Willis voleva preservare dal contagio con la corruzione di Sin City, incarnata dal bastardo giallo di Nick Stahl?).

IL VERDETTO

Solo in un piccolo episodio, uno solo, Sin City – Una Donna Per Cui Uccidere si redime: guarda caso, l’episodio dove la donna torna di nuovo ad essere solo il motore dell’azione – guarda caso, l’episodio senza lieto fine (stesso caso del “Bastardo Giallo”). Uno statuario Gordon-Levitt ci porta a vivere il suo dramma personale, un dramma familiare crudelissimo con una risoluzione magnifica, ricordandoci cos’è Sin City: il luogo del peccato, dell’immondizia dell’anima, della vergogna morale eretta a statuario monito di grandezza per le generazioni future. E come Hartigan/Willis, Gordon-Levitt/ Johnny combatte la sua piccola (seppur parzialmente vana) crociata contro questo male assoluto, donando un barlume di sincera commozione allo spettatore così come un segno di speranza: purtroppo per lui, non c’è nessuna speranza che Sin City – Una Donna Per Cui Uccidere batta il predecessore, molto più equilibrato e moderato nei toni, con personaggi e vicende di spessore palesemente maggiore, con una valenza estetica inedita e ben sfruttata (per quasi tutta la pellicola). E così si conclude questo primo “scontro”, dopo tempo immemore.

“LOCANDIMETRO”

IL VINCITORE