Lo Hobbit – La Desolazione Di Smaug (2013)

Riusciti finalmente a scappare dal manipolo di orchi che li stava inseguendo, Bilbo, Gandalf e i nani si ritrovano sul limitare di Bosco Atro: qui Gandalf decide di separarsi dal gruppo, dovendo andare a controllare quale sia l’oscura forza che sta muovendo le trame della Terra di Mezzo. Gli altri proseguono nel tentativo di raggiungere la montagna dei nani prima del giungere del Dì di Durin, ma la foresta si rivelerà fitta di insidie…

Dopo che Lo Hobbit – Un Viaggio Inaspettato era riuscito addirittura a raggiungere il #3 del mio Classificone Stagionale per il 2012/2013, le mie aspettative per la nuova trilogia del sommo Pietro erano salite a dismisura: qualcosa al pari dell’ormai iperlodato e idolatrato Il Signore Degli Anelli si apriva ai miei increduli occhi. Se vi ricordate (o avete riletto) la mia recensione del primo capitolo, saprete che ne avevo soprattutto esaltato le atmosfere più “soprannaturali”, “avventurose”, rispetto al bellissimo (ma forse inadatto per un libro come Lo Hobbit) respiro epico della precedente saga: qualcosa che ricollegava il tutto ai cult degli anni ’80, come E.T. ed altri, cinema “fanciullesco” ma nel senso Pascoliano del termine.

Ecco qui il mio primo, e in fin dei conti principale, problema con il secondo pezzo della nuova trilogia: Lo Hobbit – La Desolazione Di Smaug parte bene, ma conclude male. O meglio, in maniera inadatta alla materia a disposizione. Nella parte conclusiva (soprattutto nella lunga sequenza con il drago Smaug) si cerca di ripristinare quell’epica legata al Signore Degli Anelli, consentendo indubbiamente al film di guadagnare in ritmo rispetto al precedente, ma facendogli perdere quell’efficacia “fantasy” che era sua propria. I personaggi non sono adatti, non hanno il carisma adeguato: non che non abbiano fascino, ma questo non può esercitarsi cambiando le atmosfere del precedente capitolo. Si guardi, appunto, la battaglia finale: Legolas e Ghimli – con le loro gare a chi uccide più Uruk-hai – erano divertenti ma contemporaneamente coinvolgente; qui, i giochini di prestigio dei nani per distrarre Smaug (tra cui una patetica scivolata tipo snowboard sull’oro liquido – i tempi del Balrog nelle miniere di Moria sono ben distanti) sono solo “infantili”, e stavolta nel senso peggiore del termine.

E non è che io sia uno di quei megafan del libro, che si sono indignati per l’aggiunta di scene inedite o personaggi nuovi (si veda l’elfa Tauriel) solo perchè non presenti nel cartaceo: come ho sempre sostenuto, un regista ha il sacrosanto diritto di modificare parti del suo soggetto, se ne sente la necessità “artistica” o comunque se trova che sia meglio per l’economia del film. Ma qua alcune aggiunte sono proprio inconcepibili: Legolas che ci sta a fare? Un markettone per riallacciarsi al successo commerciale di Lord Of The Rings? E la stessa Tauriel: io non mi lamento di lei in quanto assente nel libro, bensì per come viene sfruttata (una storia d’amore tra lei e un nano, con probabile interpretazione di amore interraziale, ennesima rilettura della sempiterna tragedia Shakesperiana Romeo E Giulietta).

Il drago, al contrario, è un’aggiunta di livello: molto bello a livello grafico, molto ben scritto tutto il suo dialogo con Bilbo. Peccato che poi ci si perda nel succitato combattimento con i nani, dove vengono smaialate tutte le premesse – ma come? Prima lo presenti come astutissimo e perfidissimo, e poi lo mostri che si fa infinocchiare come neanche nel peggiore dei cartoni? Tra l’altro il combattimento è inutilissimo, visto che il piano dei nani fallisce miseramente, e Smaug si dirige ad attaccare la città umana ai piedi del monte (inquadratura su cui si chiude la pellicola). La sottotrama di Gandalf è già gestita meglio, per quanto anche “questo” Gandalf non possa competere in epicità con “quello” de La Compagnia Dell’Anello: non gli vengono dedicati nè troppi nè troppi pochi minuti, e si capisce bene il perchè si sia allontanato dalla compagnia dei nani (fatto, a prima vista, inspiegabile).

Per il resto c’è il solito grande livello tecnico, un bel paio di sequenze (la lotta tra Bilbo invisibile e i ragni, e soprattutto il frenetico e sgangherato inseguimento tra le rapide che vede coinvolti i nani, gli elfi e gli orchi), un ottimo cast di attori: riprova, se mai ce ne fosse bisogno, che Peter sa come fare Cinema di genere. E difatti Lo Hobbit – La Desolazione Di Smaug è comunque un buon film, ma poteva essere molto di più, se si fosse (paradossalmente) “accontentato” di essere qualcosa di “meno”: meno epico, meno leggendario, ma più originale e comunque memorabile. Con la speranza che la conclusione torni a mirare al giusto obiettivo, per ora non posso che constatare la mia delusione, seppur parziale.

“LOCANDIMETRO”

MOVIEQUOTE

“Gandalf… E se fosse una trappola?” “Va, Radagast, e non voltarti… È sicuramente una trappola!”

Classifica Stagionale 2012/2013: TOP20 – Il Podio (3-1)

E finalmente eccoci giunti al gran finale: abbiamo attraversato i fluidi nefasti del “Fondo Del Barile“; abbiamo dato una rapida scorsa alla lunga “Panca” della Stagione; abbiamo applaudito i primi 17 titoli della TOP20 (“Parte Bassa” e “Parte Alta“), ma adesso è giunto il momento di addentare la ciliegina sulla torta Cinematografica. Ed ecco qua i 3 titoli che si sono meritati la sezione più elevata della mia Classifica, vincendo rispettivamente il bronzo, l’argento e l’oro del Cinemalato! Come sempre vi invito a leggere le recensioni, che potrete leggere semplicemente cliccando sul titolo della pellicola.

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3) Lo Hobbit – Un Viaggio Inaspettato, di Peter Jackson (2012)

Sul gradino più basso del podio, con al collo il Bronzo, si trova il buon Peter Jackson (in rappresentanza della Nuova Zelanda), tornato nella Terra di Mezzo per girare il prequel del Signore Degli AnelliLo Hobbit – Un Viaggio Inaspettato è la versione “in minore” (più fantasy e avventurosa, meno epica) della ormai leggendaria Trilogia, e magnificamente riesce a ricoprire il suo ruolo: sono due ore e quaranta circa di scampagnata in un mondo Fantastico, che scorrono in un attimo, leggere e divertenti (ma non per questo prive di spessore). Il grosso budget a disposizione è usato magnificamente per ricreare i goblin e i troll di Tolkeniana memoria, e i paesaggi mozzafiato della Nuova Zelanda fanno il resto. Una pellicola di intrattenimento che può riportare alla memoria gli E.T. di Spielberg et similia, un perfetto mix di cuore e magia: Jackson si conferma un vero Re, e come nell’epilogo della Trilogia, questo è il suo degno Ritorno.

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2) Il Sospetto, di Thomas Vinterberg (2012)

Dopo il terzo posto dell’anno scorso con Nicolas Winding Refn, la Danimarca guadagna una posizione grazie a Thomas Vinterberg e il suo Il Sospetto. Uno studio cinicamente realistico e crudo sulla malvagità intrinseca dell’uomo, un cazzotto in pieno fegato capace di spezzare in due tutte le barriere finto-moralistiche: un semplice “sospetto” è in grado di stigmatizzare una persona per il resto della sua vita, bollarla come untore, malsano, e portarla in una condizione di assoluto isolamento. E tutto è relativo, la vittima è carnefice, il carnefice si fa vittima, in un affresco di nera violenza che prenda vita nella più comune delle cittadine e delle comunità. Il film più “potente” della Stagione, vincitore di un meritatissimo Premio al Festival di Cannes, dove Mads Mikkelsen si è portato a casa il Prix per l’Interpretazione Maschile.

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1) Re Della Terra Selvaggia, di Benh Zeitlin (2012)

E sono di nuovo gli Stati Uniti ad agguantare la leadership: Re Della Terra Selvaggia è il mio personale trionfatore di Stagione, dopo il primo posto de L’Arte Di Vincere nella scorsa edizione del Classificone. Un film di puro incanto, dove la fantasia e il soprannaturale sono usati in maniera intelligente per indagare il reale, con un tocco a metà tra quello del Malick di The Tree Of Life e il Del Toro de Il Labirinto Del Fauno, da parte dell’esordiente (e che esordio!) Benh Zeitlin. Ma non solo questo: Beasts Of The Southern Wild ci racconta anche di un cammino di crescita e formazione, quello di Hushpuppy (una straordinaria Quvenzhané Wallis) per diventare Re del branco (non Regina, perchè la virilità animalesca di cui è intrisa la pellicola non permette distinzione di sesso tra uomo e donna), un cammino fatto in totale e continua complicità/rivalità fisica con il padre (Dwight Henry, anche lui bravissimo). Una duetto di straordinaria intensità, dipinto con le tonalità del sogno e dell’immaginazione infantile (un vero e proprio “fanciullino” Pascoliano): una pellicola davvero meravigliosa (in tutti i sensi) e un primo posto strameritato. Complimenti a Benh Zeitlin, e alla prossima Stagione!

Lo Hobbit – Un Viaggio Inaspettato (2012)

Bilbo Baggins, vecchio hobbit della Contea, decide di raccogliere le sue memorie in una specie di diario, da tramandare in seguito al nipote Frodo: da giovane ha infatti vissuto numerose avventure insieme ad una bizzarra compagnia, composta da 13 nani al servizio di Thorin Scudodiquercia, e da Gandalf, potente stregone grigio. Insieme affronteranno un cammino intricato e tortuoso per raggiungere il vecchio regno di Thorin, ormai da tempo possesso del temibile drago Smaug.

La trasposizione di un libro Fantasy non è mai affar semplice per un regista/sceneggiatore: all’ordinaria (si fa per dire) difficoltà di non sottrarre fascino a vicenda e personaggi commutando il linguaggio della narrativa in quello (fortemente diverso) dello script cinematografico, ed essere accorti nel non eliminare troppo o voler inserire troppo di proprio nella storia, si aggiunge quello della costruzione scenografica e della resa (tramite effetti speciali) dell’elemento magico. Troppo spesso, per dare risalto a quest’ultimo elemento, si finisce per puntarci troppo e perdere di vista quello che dovrebbe comunque rimanere basilare (vedi gli ultimi 4 capitoli di Harry Potter, episodi scollegati ed inanellati a casaccio, ma supportati da un valido impianto tecnico). In un caso, poi, che mi sta particolarmente a cuore (Eragon), per non rischiare la noia dello spettatore, si è puntato su un film troppo corto come minutaggio, con il risultato che non si riesce minimamente ad assaporare la bellezza delle vicende e dei personaggi inventati da Paolini.

E pensare che dal 2001 al 2003 qualcuno aveva dato l’esempio perfetto da seguire per conseguire l’obiettivo. Questo qualcuno risponde al nome di Peter Jackson, regista della trilogia de Il Signore Degli Anelli: scenari mozzafiato, effetti speciali di altissimo livello, colonna sonora celtica di alto fascino, vanno a supportare una storia con la S maiuscola, una vicenda epica ed emozionante, vissuta e interpretata da personaggi bellissimi nella loro personalità sfaccettata. E Jackson si è preso tutto il tempo che gli serviva, certo (e a ragione) che il pubblico preferisse vedere un’opera valida, sebbene della durata di tre ore e passa: in questo modo nessun dettaglio è trascurato, e si può assaporare ogni microframmento di questa trilogia, già pietra miliare della Cinematografia Mondiale.

In una Stagione come questa, dove già Nolan e Scott hanno deluso alla grande, ho però seriamente pensato che anche Peter Jackson potesse  rendersi colpevole di alto tradimento: locandine e trailer de Lo Hobbit – Un Viaggio Inaspettato, primo capitolo di una nuova trilogia (prequel della precedente, esattamente come è successo per Star Wars), non sembravano prospettare niente di buono. E poi come si può tirare fuori una trilogia da un singolo libro di neanche 400 pagine? Ovviamente devo chiedere perdono al sommo Jackson: questo primo capitolo, se non altro, sembra già far intuire una nuova saga più che degna dell’illustre predecessore.

Lo Hobbit – Un Viaggio Inaspettato è infatti completamente un’altro mondo rispetto a Il Signore Degli Anelli. Avendo letto il libro, già in passato notai la differenza: più Fantasy, più avventuroso, meno epico e commovente ma altrettanto avvincente. Ed è proprio da qui che Jackson riparte, per creare una nuova avventura, diversa eppure indiscutibilmente legata al passato Cinematografico del regista. La frase che posto in MOVIEQUOTE potrebbe quasi essere una sua dichiarazione: la grandiosità epica della vicenda di Frodo, Sam, Aragorn, Sauron, l’Anello, si risolve in una maggiore “semplicità”, in una narrazione più distesa e rilassata, ma non per questo priva di spessore, di potere di intrattenimento (quello vero ed intelligente), di importanza.

Quando ci si riallaccia a Il Signore Degli Anelli lo si fa sempre con una certa vena di nostalgia, in un’atmosfera più pacata, diversa: Granburrone è un paradiso idilliaco, l’elfa Galadriel non presenta ambiguità legate al potere, lo stesso Gollum sembra più svitato che corroso dal Male dell’Anello. Ma non tutto punta sull’effetto nostalgico, ci sono anche molte novità. Fra i personaggi, i nani sono molto spassosi, soprattutto nell’incipit caciarone (forse un po’ troppo lungo), ma non per questo si riducono a figurine comiche senza un’anima, anzi: basti vedere la profondità del loro capo, Thorin Scudodiquercia, un bellissimo e nuovo personaggio che recupera qualcosa di Aragorn (il ruolo di leader militare) e qualcosa di Boromir (l’apparente scontrosità). Per non parlare dello stregone bruno, Radagast, sospeso fra comicità surreale ed echi di druidi, un nevrotico mago che parla agli animali e si muove su una slitta trainata da lepri. E che dire di Azog il Profanatore, orco albino resuscitato dai morti, carico di sanguinaria sete di vendetta? Anche gli attori si muovono benissimo: tralasciando i volti già noti,  Richard Armitage (Thorin) e Manu Bennett (Azog) sono bravissimi nel dare spessore ai loro personaggi, rendendo al meglio le loro caratteristiche principali; soprattutto encomiabile è Martin Freeman, che giostra benissimo un Bilbo Baggins molto comico ed impacciato, riuscendo a preservare la genuinità del personaggio.

Magia e cuore, questo è il binomio vincente che possedevano le fascinose pellicole della trilogia de Il Signore Degli Anelli, e si tratta dello stesso elemento che risulta predominante nel primo capitolo di questa nuova saga. “Noblesse oblige”, ovvero la nobiltà obbliga: Peter Jackson si conferma uno dei più Nobili registi della Settima Arte, perlomeno nel campo del Fantasy, e rende onore al sangue blu Cinematografico che possiede con un film di intrattenimento di livello assoluto, una boccata di ossigeno per un genere trattato troppo spesso in maniera fiacca e commerciale.

VOTO: 4,5/5

MOVIEQUOTE

Saruman crede che soltanto un grande potere è in grado di tenere a bada l’oscurità. Io invece ho fiducia nelle piccole cose, nei gesti che rendono importante il quotidiano.

LEGENDA VOTI

5/5=10  4,5/5=9  4/5= 8  3,5/5=7,5  3/5=7  2,5/5=6  2/5=5  1,5/5=4  1/5=3  0,5/5=2  0/5=0

Classifica Stagionale 2011/2012: La Panca

Secondo appuntamento con la Classifica Stagionale del Cinemalato! Stavolta è il turno della “Panca“, ovvero tutte quelle pellicole che non hanno raggiunto la “TOP20“, ma che neanche sono scese sotto la sufficienza. I film in questione sono ben 17, anche stavolta elencati per ordine alfabetico, non per valutazione. Come sempre, cliccando sul titolo potrete leggere la recensione relativa alla pellicola, quando disponibile.

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Albert Nobbs, di Rodrigo Garcia (2011)

Non so perchè, ma riponevo molte speranze in questo film: il soggetto sembrava accattivante, e circolavano voci su una prova di alto livello da parte di Glenn Close. Purtroppo entrambe le aspettative non sono state ripagate; la Close è molto brava, ma è superata dalla straordinaria McTeer, e la storia viene mal gestita da regista e sceneggiatori, risultando troppo poco approfondita per toccare quelle corde emozionali che avrebbe potuto (e dovuto) toccare.

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Le Avventure Di Tintin – Il Segreto Dell’Unicorno, di Steven Spielberg (2011)

Un classico del fumetto francese, Tintin, il ragazzo dall’inconfondibile ciuffo rosso, sempre accompagnato dal suo cagnolino Milù, trasposto al cinema dal regista della tetralogia di Indiana Jones. Il risultato è un film di avventura che possiede un grande ritmo, con in più una grafica di grande impatto visivo. Spielberg non si scorda di essere un grande regista, e inserisce anche un paio di sequenze di livello (il borseggiatore inquadrato solo sui piedi e gli onirici e movimentati ricordi del capitano Haddock). Probabilmente Tintin si trova in panca perchè la lunga ombra della Disney-Pixar pesa troppo sulla qualità del prodotto d’Animazione, e un film prettamente “estetico” sbiadisce nel confronto con mostri sacri quali Up Wall-E.
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Bar Sport, di Massimo Martelli (2011)

Bar Sport è un titolo che molti hanno infamato, lamentando una comicità da Cinepanettone, un cast sprecato e una eccessiva frammentarietà degli eventi. Io dico che questi “molti” non conoscono l’opera da cui il film è tratto: l’omonimo libro di Stefano Benni usa una comicità bassa, caricaturale, grottesca, che descrive con occhio deformante tutta una serie di macchiette del “tipico Bar Italiano”; è inoltre diviso in episodi scollegati, ed è quindi per questo che la pellicola risulta spezzata. Poi è ovvio, non stiamo parlando di capolavoro, ma affossarlo peggio di un lavoro di Neri Parenti mi sembra ridicolo (considerando anche le due deliziose sequenze d’animazione, anch’esse decisamente “Benniane”).

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Biancaneve E Il Cacciatore, di Rupert Sanders (2012)

Il tentativo di portare sugli schermi la favola di Biancaneve in chiave dark non è del tutto riuscito; ad un livello tecnico valido e ben realizzato (scenografie, effetti speciali, costumi…) si contrappongono una trama troppo semplicistica e prove attoriali non sempre brillanti (la Stewart e Hemsworth fanno meglio di Twilight Thor, ma non è che ci volesse poi molto). Comunque vedere sul grande schermo Charlize è sempre un piacere, in tutti i sensi.

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Carnage, di Roman Polanski (2011)

Carnage è un film di attori; un quartetto spettacolare (Jodie Foster, John C.Reilly, Christoph Waltz, Kate Winslet) ci fa vedere come, dietro la maschera del perbenismo e dell’educazione, l’essere umano sia spesso e volentieri portato alla violenza e al risentimento. I protagonisti mostrano tutto il loro talento, dalla partenza in sordina all’exploit finale sopra le righe, e la pellicola scorre rapida e godibilissima. Alla fine, però, il limite del nuovo titolo di Polanski è proprio questo: essere  “solo” un film d’attori.

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Cosmopolis, di David Cronenberg (2012)

Il 2° Cronenberg di Stagione, presentato in concorso al Festival Di Cannes, ha indubbi pregi; un ottimo cast (con un eccellente Paul Giamatti, un’efficace Samantha Morton e un sorprendente Robert Pattinson), un regista che sa il fatto suo (la lunga sequenza finale in un’unica stanza è gestita benissimo a livello di spazi e movimenti attoriali) ed una scenografia futuristica suggestiva ed evocativa. Purtroppo Cosmpolis presenta una sceneggiatura ad alto livello di concettosità, che alla fine suona però di già sentito, affossando parecchio il risultato finale. Se non altro resta negli occhi la già citata, lunga conclusione, e l’aver (ri)scoperto il vampiro di Twilight è una valida sorpresa.

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A Dangerous Method, di David Cronenberg (2011)

locandina.jpg (420×600)Cronenberg, Freud, Jung, la psiche umana. Fino a che la pellicola corre sul binario dell’eccesso, sopra le righe come poche altre, colpisce ed intriga con efficacia (molte sono state le critiche alla prova di Keira Knightley, critiche che non capisco; da quando in qua i pazzi devono essere interpretati con controllo?). Un ottimo Fassbender e un grandissimo Mortensen (più uno stralunato Cassel) completano il tutto. La narrazione, tuttavia, si fa sempre più fredda e distaccata mano a mano che passano i minuti, togliendo al film quella potenza di cui parlavo prima. Buona/ottima la ricostruzione scenografica dell’epoca.

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… E Ora Parliamo Di Kevin, di  Lynne Ramsay (2011)

Tralasciando un’improponibile (as usual) traduzione italiana del titolo (pare quello di una commedia con Ben Stiller e la Aniston … E Alla Fine Arriva Polly, quando invece si tratta di drammatico con venature horror), la pellicola di Lynne Ramsay narra la storia di una ragazza divenuta madre troppo in fretta, del suo rapporto amore-odio (soprattutto odio) con il figlio Kevin, di un terribile omicidio. Seppure con indubbi meriti (visivi, come nella scena di Halloween, ma anche recitativa grazie ad un’eccelsa Tilda Swinton ed un efficace Ezra Miller), il film si perde un pò a livello di trama: non chiarisce bene il rapporto fra i genitori e il figlio, nè spiega con sufficiente chiarezza la sua malvagità; il tutto accompagnato dal fatto che, purtroppo, le scelte registiche quasi “horror” della regista si accumulano al punto di risultare indigeste nella mezz’ora finale. Resta comunque un prodotto molto valido.

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The Help, di Tate Taylor (2011)

Per quanto il plot di base della pellicola di Tate Taylor (tratto dall’omonimo romanzo di Kathryn Stockett) sia stra-abusato, The Help è un titolo che sa colpire le corde emozionali dello spettatore senza eccedere nel miele o nel ricattino morale (salvo il pietoso finale, 100% saccarosio gratuito). Molto gradevole e poco retorica soprattutto la side-story fra la cameriera di colore Minny (la vincitrice dell’Oscar come Non Protagonista, Octavia Spencer) e la sua svampita (ma buona) padrona bianca (la bravissima Chastain, che conferma le sue doti dopo The Tree Of Life). Alla fine tutto già visto e già sentito, ma apprezzabile.

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The Iron Lady, di Phyllida Lloyd (2011)

https://i0.wp.com/www.voto10.it/cinema/uploads/foto/locandina_the-iron-lady.jpg Mai locandina fu più azzeccata: il biopic della “Lady Di Ferro”, Margaret Thatcher, diretto dalla regista del musical-successone Mamma Mia!, è in realtà un “One-Man-Show” (o per meglio dire “One-Woman-Show”). Meryl Streep, in tutta la sua ormai ipercomprovata bravura, con una grande prova (e accompagnata da un ottimo trucco per quanto riguarda la vecchiaia della Iron Lady) segna un altro eccellente ruolo della sua incommensurabile carriera (stavolta sigillato anche dall’Oscar come Attrice Protagonista, la terza statuetta per la signora). Peccato che non bastino gli attori per fare un film: ed ecco che The Iron Lady si rivela una biografia troppo incentrata sulla vita personale della Thatcher, scombussolata e poco chiara  (non si capisce se si stia lodando o condannando l’operato della protagonista), alla lunga pesantemente elefantiaca.
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J. Edgar, di Clint Eastwood (2011)

Con questa recensione ho aperto le danze del Cinemalato. Purtroppo la prima review del blog non era decisamente relativa ad un film memorabile; il biopic del fondatore del Federal Bureau of Investigation (detto anche F.B.I.), nonostante la sapiente regia di Eastwood e il carisma di DiCaprio (che ha comunque fatto prove migliori, e che qui viene superato in bravura sia da Armie Hammer che da Naomi Watts), risulta freddo, distaccato, poco approfondito per quando riguarda la sfera del privato (soprattutto risulta troppo superficiale l’approccio alla figura di Miss Gandy). Ho inizialmente apprezzato il pesante trucco di DiCaprio e Hammer, ma alla lunga bisogna ammettere che il ridicolo è stato sfiorato e superato indubbiamente.

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Melancholia, di Lars Von Trier (2011)

Mettere Melancholia in questa sezione della Classifica è un vero e proprio dispiacere. Il film di Von Trier ha una prima sezione clamorosa, da applausi a scena aperta fino allo spellamento delle mani, un girotondo di sensazioni, visioni, emozioni da far girare la testa; Kirsten Dunst, bianca quasi diafana, ti entra fin dentro le viscere con intensità inesorabile (e non le sono da meno gli altri attori, Charlotte Gainsbourg, Kiefer Sutherland, Charlotte Rampling…). Poi però arriva una seconda sezione a metà fra Emmerich (il peggior Emmerich) e un dramma teatrale di enfasi eccessiva ed elefantiaca; se non ci fossero gli stessi personaggi, non si capirebbe neanche il collegamento fra le due parti.  Melancholia, che fino ad allora era minimo da podio (forse anche da 1° posto), si ritrova così ridimensionato, con mio (ripeto) enorme dispiacere.

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La Pelle Che Abito, di Pedro Almodòvar (2011)

Altro film che mi scoccia davvero un sacco dover mettere in Panca è il nuovo Almodòvar. Un soggetto a dir poco superlativo; uno sviluppo valido, coinvolgente e corrotto al punto giusto (vedi la grottesca scena del “tigrotto”); virate nel melò (tanto caro allo spagnolo) misurate ed efficaci; attori in palla. Eppure a mezz’ora dalla fine Pedro perde le redini del gioco, e la pellicola perde il suo bell’equilibrio; finale melenso, esagerato e fuori dal mondo, che riduce il valore dell’intero lavoro.

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Quando La Notte, di Cristina Comencini (2011)

L’improponibile La Bestia Nel Cuore è una macchia che difficilmente si cancella dalla cinematografia Italiana (a pensare che riuscì ad arrivare nella cinquina dell’Oscar per il Film Straniero vien da ridere per non piangere); tuttavia la Comencini confeziona (da un suo romanzo) una pellicola su un amore strano, tanto violento quanto (quasi) privo di fisicità, fra un uomo e una donna (Timi e Pandolfi, bravissimi) più soli di quello che si possa pensare, uniti per caso dal pianto insopportabile di un bambino e da una follia notturna. Ma, dato che difficilmente ci si può smentire, la Comencini spreca tutto quanto di buono aveva costruito grazie ai venti minuti finali; ridicoli, al limite del bimbominkia-trash, sembrano quasi un altro film rispetto al resto della pellicola. Inizialmente avevo cercato di perdonare l’errore, ma purtroppo perdonare è qualità esclusivamente Divina.

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Quasi Amici, di Eric Toledano & Olivier Nakache (2011)

Secondo film per incassi al botteghino Francese (dopo Giù Al Nord), Quasi Amici è una commedia agile e scorrevole, con un affiatato duo di attori (Omar Sy e Francois Cluzet), una scrittura esperta e abile a schivare i luoghi comuni della retorica, una colonna sonora di sicuro impatto. Anche qua, però, il finale scade nel banale/forzato, rivelando la vera natura della commedia di Nakache e Toledano; un film per tutti i gusti, che però non raggiunge certo elevate vette qualitative.

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La Talpa, di Tomas Alfredson (2011)

Elegante, sofisticato, grigio; La Talpa è un thriller che soffoca lo spettatore, facendogli respirare quella che era l’aria ai tempi della Guerra Fredda. Registicamente impeccabile, presenta forse il cast più spettacolare dell’anno: Gary Oldman (eccellente), Tom Hardy (molto bravo), John Hurt (di gran mestiere), Colin Firth (ottimo), Mark Strong (sorprendente)… Dunque, qual è il problema? E’ presto detto: il montaggio. I vari flashback temporali sono troppo fumosi, troppo poco delineati, e anche i cambi “diatopici” (cioè di luogo geografico) non sono precisi. Questo, sommato alla lentezza (voluta, ma estenuante) della pellicola, fa sì che una trama non troppo complicata (a tratti anche banale) risulti intricatissima e difficilissima da seguire; e per un thriller, davvero non è il massimo.

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Warrior, di Gavin O’Connor (2011)

Non dovrei tirare fuori le posizioni nella sezione della Panca, ma è giusto dire che, fino a due settimane fa, Warrior era il mio personale #20. A differenza di The Fighter, film della scorsa stagione, la pellicola di O’Connor ha una maggiore genuinità ed una maggiore intensità (come del resto sono più intense le MMA della boxe); sulla locandina si parla di Million Dollar Baby, e seppure il filmone di Eastwood sia lontano anni luce, Warrior è crudo e diretto come l’antecedente del 2004. Ottimi attori (Tom Hardy, già sopracitato ne La Talpa, e il ruvido Nick Nolte, in una prova da applausi a scena aperta) e una trama semplice ma efficace, proprio come un cazzotto al mento ben diretto, Warrior vale davvero la visione, ed è tutta colpa delle distribuzioni Italiane se non ha raggiunto la TOP20 (prossimamente capirete il perchè).