Siamo negli Stati Uniti, in piena guerra fredda. Elisa, una donna di mezza età affetta da mutismo, vive in un angusto appartamento che ha arredato come una piccolo regno magico: ha un amico nel vicino di casa, un pittore gay con il quale condivide la passione per il Cinema muto. Elisa, inoltre, lavora come addetta alle pulizie all’interno di un centro di ricerca governativo: un giorno, nel laboratorio, fa la sua comparsa un essere incredibile, metà uomo e metà pesce, che attira subito l’attenzione della donna…
Guillermo Del Toro (soprannominato affettuosamente “CiccioMessico” dal sottoscritto) è sempre stato un favorito, qui in casa Cinemalato: nonostante lo sciatto Crimson Peak di qualche Stagione fa, mi è impossibile non volere bene (artisticamente parlando) all’ideatore de Il Labirinto Del Fauno, nonché colui che stava dietro alla maggior parte del primo Lo Hobbit (e che, se fosse stato libero di procedere, avrebbe reso la saga un altro cult del genere).
Quando, dunque, ho saputo che il suo ultimo lavoro aveva vinto il Leone D’Oro a Venezia, ho subito pensato che CiccioMessico avesse nuovamente tirato fuori il coniglio dal polveroso cilindro: quando, invece, il ragazzo si è portato a casa il Golden Globe per la Miglior Regia e ha ricevuto tredici nomination agli Oscar, ho iniziato a temere di trovarmi di fronte ad un prodotto corretto, ma “americano”.
Fortunatamente non è questo il caso, perlomeno non con la temuta gravità. La Forma Dell’Acqua – The Shape Of Water è una favola dall’impianto narrativo classico, dai tocchi registici talvolta lievemente derivativi da certo Cinema fantastico-surreale (Il Favoloso Mondo Di Amélie su tutti), ma con una sua forte identità DelToriana che mette in secondo piano gli echi stilistico-strutturali.
La realtà insudiciata e l’evasione monda si intrecciano costantemente, come in un valzer: alla polvere e alla vetustà dell’appartamento di Elisa, si contrappongono le surreali forme curvilinee del suo arredamento; alla leggerezza romantica della donna nel suo sognare un musicale tip-tap si contrappongono le sue deprimenti e meccaniche masturbazioni; alla delicatezza della storia d’amore, si contrappongono la violenza dell’omofobia e del razzismo, nonché il rosso carminio del sangue (che inonda lo schermo più volte). L’antinomia più forte, però, è quella tra parola e gesto: all’interno del film, le parole sono costantemente menzognere, deboli o violente, e creano ostacoli che complicano la vicenda; i gesti, al contrario, sono sinceri e risolutivi, capaci di generare amore o di salvare vite.
Il silenzioso sentimento che si instaura tra i due muti protagonisti della pellicola è costantemente segnato dalla presenza dell’acqua, fin da quella nella quale bollono le uova sode, primo motore dell’intera vicenda. Ed è un progressivo detergersi dell’acqua e nell’acqua: dallo squallore iniziale di una vasca sporca (di sangue e di solitudine), si passa all’inondazione di un’intera stanza che diventa pioggia d’amore per le persone circostanti, fino alla metamorfosi acquatica del lieto fine (dove le ferite dell’esclusione terrestre diventano branchia e lasciapassare per una nuova inclusione nell’acqua).
Al netto di alcuni momenti meno felici (la scena pre-finale del ballo in bianco e nero, un po’ leziosa e telefonata – anche se, rispetto ad un La La Land, molto meno tirata per le lunghe e dunque più facilmente digeribile; il finale, in generale un po’ affrettato nella sua rocambolesca risoluzione), la coerenza stilistico-tematica di La Forma Dell’Acqua – The Shape Of Water, nonché il suo cast eccellente (oltre ai soliti ottimi Shannon e Doug, si segnalano il delicato pittore di Richard Jenkins e la strepitosa Elisa di Sally Hawkins – di una delicatezza e risolutezza commoventi), ne fanno un titolo imperdibile per la Stagione in corso, un gioiellino di fiaba che riesce a far sognare ed emozionare senza zuccheri aggiunti né forzature: e riuscire, oggi, a concepire una favola (uno dei più antichi generi narrativi) che non sia piatta o scontata, non è impresa affatto facile.
MOVIEQUOTE
Quando mi guarda, lui non vede quello che mi manca o quanto io sia incompleta.