La Forma Dell’Acqua – The Shape Of Water (2017)


Siamo negli Stati Uniti, in piena guerra fredda. Elisa, una donna di mezza età affetta da mutismo, vive in un angusto appartamento che ha arredato come una piccolo regno magico: ha un amico nel vicino di casa, un pittore gay con il quale condivide la passione per il Cinema muto. Elisa, inoltre, lavora come addetta alle pulizie all’interno di un centro di ricerca governativo: un giorno, nel laboratorio, fa la sua comparsa un essere incredibile, metà uomo e metà pesce, che attira subito l’attenzione della donna…

Guillermo Del Toro (soprannominato affettuosamente “CiccioMessico” dal sottoscritto) è sempre stato un favorito, qui in casa Cinemalato: nonostante lo sciatto Crimson Peak di qualche Stagione fa, mi è impossibile non volere bene (artisticamente parlando) all’ideatore de Il Labirinto Del Fauno, nonché colui che stava dietro alla maggior parte del primo Lo Hobbit (e che, se fosse stato libero di procedere, avrebbe reso la saga un altro cult del genere).

Quando, dunque, ho saputo che il suo ultimo lavoro aveva vinto il Leone D’Oro a Venezia, ho subito pensato che CiccioMessico avesse nuovamente tirato fuori il coniglio dal polveroso cilindro: quando, invece, il ragazzo si è portato a casa il Golden Globe per la Miglior Regia e ha ricevuto tredici nomination agli Oscar, ho iniziato a temere di trovarmi di fronte ad un prodotto corretto, ma “americano”.

Fortunatamente non è questo il caso, perlomeno non con la temuta gravità. La Forma Dell’Acqua – The Shape Of Water è una favola dall’impianto narrativo classico, dai tocchi registici talvolta lievemente derivativi da certo Cinema fantastico-surreale (Il Favoloso Mondo Di Amélie su tutti), ma con una sua forte identità DelToriana che mette in secondo piano gli echi stilistico-strutturali.

La realtà insudiciata e l’evasione monda si intrecciano costantemente, come in un valzer: alla polvere e alla vetustà dell’appartamento di Elisa, si contrappongono le surreali forme curvilinee del suo arredamento; alla leggerezza romantica della donna nel suo sognare un musicale tip-tap si contrappongono le sue deprimenti e meccaniche masturbazioni; alla delicatezza della storia d’amore, si contrappongono la violenza dell’omofobia e del razzismo, nonché il rosso carminio del sangue (che inonda lo schermo più volte). L’antinomia più forte, però, è quella tra parola e gesto: all’interno del film, le parole sono costantemente menzognere, deboli o violente, e creano ostacoli che complicano la vicenda; i gesti, al contrario, sono sinceri e risolutivi, capaci di generare amore o di salvare vite.

Il silenzioso sentimento che si instaura tra i due muti protagonisti della pellicola è costantemente segnato dalla presenza dell’acqua, fin da quella nella quale bollono le uova sode, primo motore dell’intera vicenda. Ed è un progressivo detergersi dell’acqua e nell’acqua: dallo squallore iniziale di una vasca sporca (di sangue e di solitudine), si passa all’inondazione di un’intera stanza che diventa pioggia d’amore per le persone circostanti, fino alla metamorfosi acquatica del lieto fine (dove le ferite dell’esclusione terrestre diventano branchia e lasciapassare per una nuova inclusione nell’acqua).

Al netto di alcuni momenti meno felici (la scena pre-finale del ballo in bianco e nero, un po’ leziosa e telefonata – anche se, rispetto ad un La La Land, molto meno tirata per le lunghe e dunque più facilmente digeribile; il finale, in generale un po’ affrettato nella sua rocambolesca risoluzione), la coerenza stilistico-tematica di La Forma Dell’Acqua – The Shape Of Water, nonché il suo cast eccellente (oltre ai soliti ottimi Shannon e Doug, si segnalano il delicato pittore di Richard Jenkins e la strepitosa Elisa di Sally Hawkins – di una delicatezza e risolutezza commoventi), ne fanno un titolo imperdibile per la Stagione in corso, un gioiellino di fiaba che riesce a far sognare ed emozionare senza zuccheri aggiunti né forzature: e riuscire, oggi, a concepire una favola (uno dei più antichi generi narrativi) che non sia piatta o scontata, non è impresa affatto facile.

“LOCANDIMETRO”

MOVIEQUOTE

Quando mi guarda, lui non vede quello che mi manca o quanto io sia incompleta.

Classifica Stagionale 2012/2013: TOP20 – Parte Alta (10-4)

round_number_seals_20_black.gif (783×783)

Ci avviciniamo al clou del Classificone, ma prima di giungere ai podisti manca ancora da esplorare la Parte Alta, ovvero i primi 7 della TOP10 del Cinemalato (qui le posizione della scorsa Stagione): pur non essendo andati a medaglia, certo non possono lamentarsi della loro posizione! Come sempre cliccando sul titolo del film troverete la mia personale recensione, quando disponibile.

_______________________________________________________________________________________________________

10) La Migliore Offerta, di Giuseppe Tornatore (2013)

Dall’Italia con furore, Tornatore torna (…) sui maxi-schermi con un thriller/romance dalle atmosfere (e ambientazioni) europee. Gran ritmo e ottima costruzione della vicenda (e dei personaggi), in grado di appassionare lo spettatore e anche di farlo (un minimo) riflettere sul valore dell’arte, ma anche sulla sua (a volte) incredibile ambiguità. Rush strepitoso, il resto del cast non è da meno: se non fosse che si perde un po’ nel finale, troppo lungo/telefonato, avrebbe potuto sperare in una piazza più alta.

_______________________________________________________________________________________________________

9) Spring Breakers – Una Vacanza Da Sballo, di Harmony Korine (2012)

Una pellicola di un vuoto allucinante, perfetta per parlare del vuoto adolescenziale (e non) di un’intera generazione. Sicuramente “povera” a livello registico, e un po’ ripetitiva, ma Korine riesce a farsi forte di questa povertà (in tutti i sensi) di soggetto e di questo loop narrativo, usandoli come arma per aumentare la sensazione di noia e vuoto nello spettatore. Da vedere, soprattutto per mandare in culo i distributori italiani de ‘sto cazzo, che con il sottotitolo (orripilante e fuorviante) di Una Vacanza Da Sballo lo volevano far passare per una delle solite Commedie adolescenziali all’Americana.

_______________________________________________________________________________________________________

8) Django Unchained, di Quentin Tarantino (2012)

Tarantino in un folle e ironico omaggio al Western selvaggio degli Spaghetti-Western italiani (Django è film del 1966, diretto da Sergio Corbucci, tra l’altro con Franco Nero – che qui appare in un breve cameo – come protagonista). Tanto sangue, tante risate (epocale la cavalcata del Ku-Klux-Klan, interrotta sul più bello per farne vedere l’esilarante antefatto), un po’ troppo eccesso (tipico del buon Quentin, ma che non ho mai apprezzato quando gli sfugge di mano) nel finale: fino a quel momento, Django Unchained mi aveva ricordato la grazia dei Coen (irraggiungibile), ma che Tarantino sarebbe senza una “Tarantinata”?

_______________________________________________________________________________________________________

7) Pietà, di Kim Ki-Duk (2012)

Ed ecco qua l’unico film della Stagione a non aver una propria recensione. E me ne vergogno profondamente, perché l’ultima fatica di Kim è (pur non al livello dei meravigliosi Primavera, Estate, Autunno, Inverno… E Ancora Primavera Ferro 3 – La Casa Vuota) una struggente lirica sulla morte, e sull’Amore di una madre per il figlio (gli straordinari Cho Min-Soo e Lee Jung-Jin). Inizialmente la sua poetica Cinematografica, fatta di “sovrumani silenzi” di Leopardiana memoria, non mi aveva convinto troppo, visto l’estremo e crudo realismo in cui si ambienta la vicenda, ma alla lunga il valore artistico di un tale Autore emerge sempre: un altro grande centro della Mostra Veneziana, che ormai da 3 anni assegna in maniera esemplare il suo maggior riconoscimento (Leone D’Oro).

_______________________________________________________________________________________________________

6) Il Grande Gatsby, di Baz Luhrmann (2013)

Quest’ultimo lavoro del buon Luhrmann è stato stroncato da molti, cosa che ad oggi non capisco: sembra a me, difatti, che la vicenda narrata da Fitzgerald sia perfetta per essere portata sugli schermi con i modi e lo stile di Baz, così luccicanti e plasticosi (ai limiti del trash), esattamente come lo è la società descritta nel cartaceo. Con una grande colonna sonora contemporanea, scenografie immensamente kitch, e un Attore (Di Caprio) che in questa Stagione ha tirato fuori una doppietta clamorosa (oltre a questo, anche Django Unchained), Il Grande Gastby entra di diritto nella mia personale TOP10.

_______________________________________________________________________________________________________

5) Moonrise Kingdom – Una Fuga D’Amore, di Wes Anderson (2012)

Prendete la solita favola intellettual-radical-chic-iper-colorata di Wes Anderson, un cast stellare (Bruce Willis, Frances McDormand, Edward Norton, Tilda Swinton…) con i suoi attori feticci (Bill Murray), due protagonisti strepitosamente accattivanti. Ci siete? Bene, ora aggiungete Cuore e Genuinità, un’ironia meravigliosamente paradossale (la recita “L’arca di Noè” annullata per diluvio: genio allo stato puro!), e una delle scene più belle (la più bella?) dell’anno, e otterrete un signor film: da servire in una giornata uggiosa, per scacciare via tutte le preoccupazioni (questo commento mi sa molto di Melevisione…).

_______________________________________________________________________________________________________

4) La Grande Bellezza, di Paolo Sorrentino (2013)

Dopo  che la scorsa Stagione il suo This Must Be The Place era finito ad ingrossare le fila del Fondo Del Barile, tanto deludente da diventare addirittura il simbolo della “Delusione D’Autore” nel mio personale “Locandimetro”, ecco che Paolo si riscatta alla grandissima, firmando uno dei suoi migliori film (ad oggi, solo Le Conseguenze Dell’Amore si trova sopra, per quel che mi riguarda). Ispirato in maniera palese alla Felliniana Dolce Vita, ne reinterpreta la vicenda e le cifre stilistiche con grande intensità e senso dell’Arte, avvalendosi inoltre di un enorme Attore (Toni Servillo, attualmente il più bravo tra gli Italiani, peraltro presente in altri due film nella Stagione in esame) da cui Sorrentino riesce sempre a tirare fuori il meglio. Fosse stato un pelino più corto, soprattutto nella parte finale, sarebbe sicuramente andato a medaglia: ma la priorità era ritrovare subito questo grande Regista Italiano, e l’obiettivo è stato pienamente conseguito.

Classifica Stagionale 2012/2013: La Panca

Secondo appuntamento con la Classifica Stagionale del Cinemalato! Stavolta è il turno della “Panca“, ovvero tutte quelle pellicole che non hanno raggiunto la “TOP20“, ma che neanche sono scese sotto la sufficienza. I film in questione sono 13, 4 in meno della scorsa Stagione: anche stavolta saranno elencati per ordine alfabetico, non per classifica vera e propria. Come sempre, potrete leggere la recensione relativa al film cliccando sul titolo della pellicola (ove disponibile).

_______________________________________________________________________________________________________

Amour, di Michael Haneke (2012)

Premettendo che questo è stato il mio primo film in assoluto del signor Haneke (non certo l’ultimo arrivato, basti pensare ai 3 premi vinti a Cannes con 3 diverse pellicole!) e che quindi alcune note di stile dell’Autore mi possono sfuggire, è indubbio che Amour non sia proprio “amore” a prima vista. Un po’ banale e al contempo un po’ eccessivo, anche se ottimamente recitato, non è decisamente (a mio avviso) il migliore lavoro passato per Cannes quest’anno. Forse conta anche quel plagio abbastanza palese al Nido Del Cuculo, chi può dirlo…

_______________________________________________________________________________________________________

Cogan – Killing Them Softly, di Andrew Dominik (2012)

Cogan è un film che parla di un vuoto, e come tale è esso stesso vuoto. Rispetto ad altri titoli, però (Somewhere, o – per restare nella Stagione – Spring Breakers), è decisamente più noioso, o comunque meno coinvolgente/potente. Non per tutti i palati (senza alcun snobismo). Ottima la gestione del cast, con Pitt e il suo personaggio che non sovrastano gli altri attori.
_______________________________________________________________________________________________________

È Stato Il Figlio, di Daniele Ciprì (2012)

Un film grottesco, che grottesco però non è se non nel finale. Ed è sostanzialmente la conclusione della vicenda a risollevare un po’ le sorti di È Stato Il Figlio, fino a quel punto commedia poco divertente, con personaggi non sempre realizzati in maniera felice. Ottimo cast, su cui spiccano il solito Toni Servillo e l’inquietantissima Nonna Rosa/Aurora Quattrocchi.

_______________________________________________________________________________________________________

Effetti Collaterali, di Steven Soderbergh (2013)

Se dovessi trovare un motivo per cui Side Effects si trova in panchina, direi sostanzialmente perchè “è il solito thriller”, perchè per il resto la storia è ben architettata, i colpi di scena in parte notevoli, il cast intelligentemente piazzato e sfruttato (compreso il muscoloso e inespressivo Channing Tatum). Diciamo che come film non “rimane” (sto parlando come la Ventura ad X Factor, e questa cosa è preoccupante).

_______________________________________________________________________________________________________

Una Famiglia Perfetta, di Paolo Genovese (2012)

La Commedia di Paolo Genovese non è purtroppo riuscita ad entrare in “Top20“. Lo dico perchè, come l’anno scorso WarriorUna Famiglia Perfetta è il mio #21 della Stagione: sicuramente c’entra il mio amore per il genere, troppo spesso recentemente bistrattato dai Cinepanettonari (& Co.) Italiani, che dunque fa salire le quotazioni di una pellicola scritta in maniera decisamente più intelligente e “coinvolgente”. Peccato che in alcuni momenti il montaggio faccia acqua, e il personaggio di Francesca Neri appaia totalmente casuale: alla fine non sono riuscito a non tenerne di conto.

_______________________________________________________________________________________________________

The Master, di Paul Thomas Anderson (2012)

“Stranamente” il nuovo film di Paul Thomas Anderson è registicamente imponente e impressionante (non nel senso “Cameroniano” del termine); “stranamente” il nuovo lavoro del regista americano presenta un cast favoloso, dove il protagonista (Joaquin Phoenix) recita da Dio (e anche il suo co-protagonista, Seymour Hoffman, non sfigura affatto); “stranamente”, come già accaduto con Magnolia, non ho capito manco per un secondo dove volesse andare a parare la storia (e quando l’ho capito avrei preferito non averlo fatto). Siamo alle solite: sicuramente sarà un mio limite, ma difficilmente le vicende narrate dal buon PTA sanno colpirmi positivamente.

_______________________________________________________________________________________________________

Il Matrimonio Che Vorrei, di David Frankel (2012)

locandina.jpg (420×600)Sostanzialmente questa pellicola è la solita Commedia Romantica made in U.S.A. trita e ritrita, perlomeno a livello di personaggi, vicenda e finti finali con “colpi di scena” riparatori. Però, un po’ per gli attori (Meryl Streep, Tommy Lee Jones, Steve Carell), un po’ per la “serietà” con cui Frankel (già regista de Il Diavolo Veste Prada) gestisce le atmosfere del suo nuovo film, ecco che alla fine Il Matrimonio Che Vorrei si rivela una visione piacevolmente sincera, immeritevole del “Fondo Del Barile“.

_______________________________________________________________________________________________________

Les Misérables, di  Tom Hooper (2012)

Les Misérables è il classico Musical: musiche coinvolgenti (con due-tre cavalli di battaglia per i singoli attori/star del cast), atmosfera teatrale-patetica, scenografie di indubbia spettacolarità. Come piccolo “pro” aggiuntivo c’è da segnalare le ottime prove di Anne Hathaway (premiata con l’Oscar) e Russel Crowe (sorpresa, sorpresa!): come piccolo “contro” l’odio profondo che la pellicola mi ha instillato nei confronti dei “buoni” (che goduta quando il bambino biondo muore!). All in all, it’s just another brick in the wall film nella media.

_______________________________________________________________________________________________________

Oblivion, di Joseph Kosinski (2013)

Kosinski si era già segnalato per la sorpresa Tron Legacy (film visto una sera di ordinaria noia su Sky, rivelatosi un’ottima pellicola di intrattenimento con tanto di colonnone sonoro firmato Daft Punk), e con Oblivion si conferma in parte. Alcune cose del suo nuovo lavoro, soprattutto nella distesa parte iniziale, funzionano e anche bene (supportate dal duetto fra il mestierante Cruise e l’ottima Riseborough): purtroppo ci si perde in un finale-americanata notevole, che rende Oblivion il “solito film d’Intrattenimento”, facendogli perdere un po’ quello smalto mostrato all’inizio. Attendo comunque fiducioso la prova del 9 con la prossima pellicola.

_______________________________________________________________________________________________________

On The Road, di Walter Salles (2012)

http://www.voto10.it/cinema/uploads/foto/locandina_the-iron-lady.jpgAlla voce del dizionario Italiano-Inglese/Inglese-Italiano di Zanichelli, se si cerca “Tempo” e si scorre fino all’espressione “fuori T. massimo“, si scopre che la corretta traduzione anglosassone per tale frase fatta è “On The Road by Walter Salles”. Devo dire che il signor Zanichelli non ha assolutamente tutti i torti: un film tratto dall’omonimo libro del 1957 (che più di ogni altro parla e descrive degli anni ’50), girato nei ’10 dei 2000, dopo che una miriade di altre pellicole ci hanno già illuminato in maniera più o meno ampia su tale periodo. Direi che più “fuori T. massimo” di così si muore.
_______________________________________________________________________________________________________

Skyfall, di Sam Mendes (2012)

Com’era da prevedersi, il primo incontro con il famoso Bond, James Bond non è stato dei più memorabili. Sicuramente non sono neanche andato a scegliermi uno dei capitoli più famosi/appetibili, ma confidavo in minima parte nel nome che sta dietro la cinepresa (Sam Mendes: American Beauty): ho sempre più l’impressione, tuttavia, che il buon Mendes sia più quello di Revolutionary Road che non del Capolavoro datato 1999…

_______________________________________________________________________________________________________

La Strada Verso Casa, di Samuele Rossi (2011)

Una pellicola di un autore esordiente, con tutte le imperfezioni dell’Opera Prima e dell’immaturità “Cinematografica”. Un ottimo cast, ben diretto dal giovane regista, su cui spiccano Giorgio Colangeli e Roberta Caronia e un’ottima Colonna Sonora fanno da supporto ad una sceneggiatura che soffre di alcuni cali, di alcune debolezze/ingenuità narrative, ma che comunque non si sfalda mai. Sicuramente non un Capolavoro, ma una solida base/punto di partenza per il futuro.

_______________________________________________________________________________________________________

Zero Dark Thirty, di Kathryn Bigelow (2012)

Benvenuti, lor signori, alla sagra del “Premio a casaccio”! L’ultima fatica della regista (unica donna Premio Oscar per The Hurt Locker) è un film “in fieri” per tutta la prima parte, dove tantissime tematiche vengono accennate ma non approfondite, per poi mutarsi in una bomba al cloroformio nella seconda sezione, quella pseudo-Documentaristica. Ma comunque, che ce frega? Golden Globe come Miglior Attrice Drammatica alla Chastain (perchè è gnocca e algida, e in una scena sbrocca alla grande! Brava Jessica!), ottocento nomine a caso agli Oscar (Miglior Sceneggiatura! Alè alè!) e Critica in visibilio! Questo ed altro ancora alla sagra del “Premio a casaccio”, dal 31 Luglio a Poggibonsi alta!

The Master (2012)

Freddie Sutton, sbandato con problemi psichici di svariata natura, cerca inutilmente di trovare un lavoro. Mentre sta facendo alcune fotografie ad un signore, viene preso da uno dei suoi sbalzi d’umore e aggredisce il cliente; deve fuggire, e si rifugia su una nave ancorata sulla riva di un fiume. Qui viene accolto da Lancaster Dodd, un Maestro, il capo di una setta religiosa chiamata “La Causa”: questi trova Freddie molto interessante, e ha l’impressione di averlo già incontrato da qualche parte. Freddie sarà un adepto testardo, duro da piegare e “addomesticare”, ma fra i due uomini si innesterà un rapporto molto forte…

Come già ampiamente rivelato per quanto riguarda il signor Ridley Scott, il sottoscritto fatica (a volte) a entrare nella “setta” (per usare un termine inerente proprio al film in analisi) di Autori di un certo calibro, e Paul Thomas Anderson non fa eccezione: su tre film visti (su un totale di sei della sua cinematografia) c’è poco che mi abbia colpito. Il Petroliere è un gran film, secco e diretto, asciutto e grottesco, titanico e “mediocre”, ma per capirlo mi ci son volute due visioni; Magnolia è un dramma corale altamente esagerato (d’accordo pigiare sull’acceleratore del grottesco, ma possibile che tutti i personaggi siano dei disgraziati di proporzioni epiche, fra droghe, genitori pedo/omo, amanti, tumori, apatia, solitudine a go-go?) per giunta di incredibile superficialità, poichè nessuna storia viene approfondita quanto dovrebbe e si fatica a simpatizzare con i personaggi. E poi c’è quest’ultimo lavoro, che completa la quadratura del cerchio: The Master, che soffre di un problema similare al succitato Magnolia.

Il film era in concorso alla Mostra di Venezia, dove ha portato a casa non uno ma ben due premi: Leone D’Argento (Miglior Regia) e Coppa Volpi (Miglior Attore, sia per Phoenix che per Seymour Hoffman). Venezia non assegna mai i premi a caso, ormai è quasi una certezza: difatti la regia di Thomas Anderson è imponente, solida, e regala momenti di alto Cinema come nella prima, serrata seduta psicanalitica di Freddie, un botta e risposta incredibilmente violento e diretto tutto giocato su primi piani ravvicinati e ricordi sfumati nel tempo; passando poi ai due attori premiati, non si può non elogiare la loro incredibile performance recitativa che da sola salva quasi il film, sia che si tratti del pacato ma intimamente frustrato Todd di Seymour Hoffman, sia che si tratti invece del frenetico ed animalesco Freddie di Phoenix (per quest’ultimo tifo spudoratamente ai premi Oscar annuali: devo ancora vedere gli altri attori, ma a scatola chiusa mi sento di affermare che difficilmente potrò vedere qualcosa di più intenso).

C’è però un grosso intoppo che impedisce a The Master di ottenere un certo status, ovvero lo script. Ecco che qui il confronto con Magnolia mi esce spontaneo: vicenda superficiale, poco chiara, che non segue nessun spunto e appare sconclusionata, esattamente come nella pellicola del 1999. Tanto per esemplificare: si accenna alla mamma e al papà di Freddie e ad un rapporto difficile e complicato con il figlio (che potrebbe avere influito sulla psiche dell’uomo), ma niente di più; si accenna ad una possibile relazione libertina fra Freddie e la figlia di Todd, già sposata con un altro adepto, ma niente di più; si accenna ad una diffidenza/odio/gelosia della famiglia di Todd verso Freddie, ma niente di più. Il problema più in generale, tuttavia, è che (quasi) tutta la storia arranca pesantemente, elefantiaca, come se non sapesse dove sbattere la testa: perlopiù sembra il racconto di un rapporto viscerale, primordiale, quasi Uomo-Cane fra Todd e Freddie (cosa che riesce bene, soprattutto grazie agli attori), ma c’entra un po’ anche l’aver Fede in qualcuno, la necessità di seguire una guida che illumini il proprio cammino. E fin qui ci siamo, tutto bene.

Solo che le sequenze inutili o incomprensibili ai fini della trama non sono poche. In una vediamo i due uomini correre su una motocicletta in pieno deserto, fino a che Freddie va talmente veloce da schiantarsi e dover essere ricoverato (il significato è noto solo ai membri di Scientology, che in effetti ha ispirato questo film): troppo snob, troppo poco chiara, ma soprattutto troppo lunga. Anche il disseppellimento del “Libro Secondo” e il congresso relativo a questo tomo sembrano inutili: si capisce bene, in questa sequenza, che tutta “La Causa” è una palese presa in giro e non possiede niente di effettivamente mistico/religioso, ma ce n’era davvero bisogno di farlo capire così apertamente? E poi Freddie sembra (solo per un momento) tornare alle origini, dal momento che aggredisce un tizio che stava criticando il libro: perchè? Non era stato addomesticato? Peraltro non ho apprezzato l’insistenza sull’appetito sessuale di Freddie (in una scena vede le donne nude e gli uomini vestiti: riferimento a Manet e alla sua Colazione Sull’Erba?), non per mera bacchettonaggine, ma perchè non mi sembra che abbia valenza ai fini del personaggio: sono ben altre le caratteristiche e i comportamenti che ci fanno intravedere la sua follia e il suo essere “animale” fra gli “uomini”.

The Master è quindi un film che su un’ossatura fragile ha voluto costruire troppo. Regia interessante, attori eccellenti, fotografia suadente ed efficace, montaggio serrato, non bastano a salvare una storia troppo semplice (a tratti banale e priva di mordente) che peraltro si perde ogni tre per due, nel disperato tentativo di trovare una direzione da seguire per non risultare troppo breve e poco interessante. Scommessa azzardata, persa, ma salvata tuttavia dai succitati pregi (indubbi) del cast e dell’impianto tecnico: se, tuttavia, la terza prova doveva essere quella decisiva, la mia bilancia nei confronti di Paul Thomas Anderson ora pende decisamente a suo sfavore.

VOTO: 2,5/5

MOVIEQUOTE

Se riesci a vivere senza alcun padrone, faccelo sapere: saresti il primo al mondo.

LEGENDA VOTI

5/5=10  4,5/5=9  4/5= 8  3,5/5=7,5  3/5=7  2,5/5=6  2/5=5  1,5/5=4  1/5=3  0,5/5=2  0/5=0

Rashomon (1950)

Nel Giappone medioevale, un viandante si ferma sotto l’ampio tetto di un tempio per cercare riparo dalla pioggia incessante. Qui un boscaiolo ed un monaco si stanno scervellando su un fatto di cronaca nera avvenuto poco tempo prima: un bandito aveva aggredito una coppia di sposini e, dopo aver stuprato la moglie, aveva ucciso il marito in un duello. Questa la versione che lo stesso bandito confessa: eppure la neo-vedova ritiene di averlo ucciso ella stessa, ed il morto (che testimonia tramite l’intervento di una medium) sostiene di essersi ucciso. Chi ha ragione dei tre? Com’è possibile che le tre versioni discordino così tanto? Ma uno fra il viandante, il monaco e il boscaiolo non ha raccontato tutta la storia…

Il thriller/giallo dalla pelle gialla e dagli occhi a mandorla di Akira Kurosawa presenta una trama particolare ed avvincente: oltre ad essere un intreccio di difficile risoluzione, che mette lo spettatore nella stessa, sconcertata posizione del monaco e del boscaiolo, rimanda indubbiamente al teatro: le scenografie sono estremamente scarne e spartane (seppure di un certo impatto), e i personaggi mutano in continuazione la propria natura, incarnando la violenza come il terrore, l’orgoglio e il disonore, la pudicizia e la lussuria (Pirandello docet). Spesso e volentieri, inoltre, si assiste a sguardi diretti in camera, dovuti al fatto che i personaggi si stanno rivolgendo ad altri invisibili personaggi fuori inquadratura, che rivolgono domande inudibili: proprio come se non fossero tanto i personaggi, quanto gli attori, a concedersi di eludere le regole cinematografiche, e rivolgere la parola direttamente allo spettatore (meta-cinema vero e proprio, insomma).

E la cosa più bella è la conclusione della vicenda, dove ancora di più Rashomon si rivela un omaggio alla finzione, proprio del teatro: tutta l’enorme, magnifica macchina “gialla” che muoveva la vicenda si rivela uno specchietto per le allodole, visto che non esiste una verità assoluta, non c’è soluzione al fantomatico omicidio. La quarta versione, quella del boscaiolo, è anch’essa discordante dalle altre tre: si capisce solo che è stato proprio lui a rubare il pugnale, scomparso dalla scena del crimine. Ed ecco una nuova chiave di lettura, un nuovo spunto di riflessione sull’impossibilità di non mentire dell’uomo. Il monaco è disperato: è dunque un mondo senza speranza, dunque? No, perchè sarà un bambino a salvare tutti: la vita che nasce, che dona nuova linfa e speranza ad un mondo basato sulla falsità e sulla molteplicità ingannevole dell’animo umano. Quel bambino, abbandonato dai genitori nel tempio, che “redime” il boscaiolo ladro (si capisce che aveva rubato il pugnale per rivenderlo, e con i soldi aiutare la sua numerosa famiglia), e che restituisce la fede nell’Umanità al monaco.

Bravissimi gli attori, soprattutto Toshiro Mifune (il brigante, nonchè attore feticcio di Kurosawa) e Machiko Kyo (la moglie): i loro personaggi mutano natura in continuazione, ma loro (magistralmente sopra le righe) risultano sempre, costantemente a fuoco nella loro prova. Non è da meno il resto del cast, tutti spettacolarmente carichi nelle loro performance: come non essere colpiti dal viso sofferente del monaco (Minoru Chiaki), dalle inquietanti espressioni della medium posseduta dal morto (Fumiko Omna), dallo sguardo di impassibile ghiaccio del marito per la moglie disonorata (Masayuki Mori)? E come i personaggi, anche il film cambia faccia in continuazione: questo è uno dei primi esempi di flashback ingannevole, dove le sequenze mostrateci (e che pensiamo corrispondere alla verità, poichè sono “passate”) rappresentano solo ed esclusivamente le verità soggettive dei vari protagonisti.

Questo titolo è nella Storia del Cinema senza dubbio alcuno, davvero pochi film hanno avuto la stessa importanza di Rashomon: vincendo, nell’ordine, Leone D’Oro a Venezia e Oscar al Miglior Film Straniero, fece vedere al mondo Occidentale che anche gli Orientali avevano da dire la loro nel panorama della Settima Arte, eccome se avevano da dire la loro! E il film di Kurosawa si merita tutti gli elogi che l’hanno accompagnato nei decenni, perchè è un perfetta combinazione di numerosi elementi, tutti portati ad un livello qualitativo di rara preziosità. Mi manca da parlare della regia di Kurosawa e della colonna sonora: ma perchè sprecare inutili (e inadeguate) parole per esprimere ciò che le immagini mostrano chiaramente? Basta la straordinaria sequenza iniziale (di cui, mi devo scusare, è tagliato un buon minuto, perchè su YouTube non si trova di meglio), fra l’altro poi ripresa nell’incipit di un altro Capolavoro da me recensito, Crocevia Della Morte: per cui silenzio, Rashomon va a cominciare.

VOTO: 5/5

MOVIEQUOTE

LEGENDA VOTI

5/5=10  4,5/5=9  4/5= 8  3,5/5=7,5  3/5=7  2,5/5=6  2/5=5  1,5/5=4  1/5=3  0,5/5=2  0/5=0